The Raven That Refused To Sing: il mondo dei fantasmi di Wilson
Il terzo album in studio di Steven Wilson come solista, The Raven that Refused to Sing (and other stories), in uscita il 25 febbraio per la KScope, è popolato di fantasmi.
Ci sono innanzitutto quelli delle storie vittoriane che hanno ispirato prima Wilson e poi Hajo Mueller, autore del suggestivo artwork. Ci sono poi quelli della musica che ha formato Wilson: i fan del prog avranno di che divertirsi nel riconoscere le ombre dei Pink Floyd, dei King Crimson, dei Genesis e di molti altri scivolare tra i brani.
Chiariamo: quando parlo di “fantasmi” non penso letteralmente a persone morte, ma alle tracce del passato rimaste nel nostro presente, con ancora abbastanza forza da influenzarlo. In questo senso, nell’album si ritrovano anche i fantasmi dei precedenti lavori di Wilson, a cominciare dai suoi album solisti (Insurgentes, Grace for Drowning) fino ad arrivare ai Porcupine Tree. Il risultato, però, è straordinariamente vivo, ricco e pieno di energia.
Come promesso, Wilson è riuscito a trovare la chiave per valorizzare al meglio l’eccezionale talento dei suoi compagni: Nick Beggs (basso e Chapman stick, cori), Marco Minnemann (batteria), Theo Travis (fiati), Adam Holzman (tastiere) ed il nuovo arrivato Guthrie Govan (chitarra). La band, dopo più di quattro mesi di concerti, risulta molto affiatata, e l’ingresso di Govan (comunque, compagno di Minnemann nei The Aristocrats) non ne ha alterato l’equilibrio.
Wilson, facendo ancora un passo indietro rispetto all’infuocata prima linea dei Porcupine Tree, si è concentrato sul ruolo di autore e regista più che di interprete, guadagnando in disinvoltura e freschezza espressiva. Il contributo di ogni membro della band va ben oltre la mera esecuzione dei brani, ed il risultato è un’opera corale, dalle molte voci e dalle molte anime. Il mixaggio di Alan Parsons (che non ha davvero bisogno di presentazioni) ha dato poi il tocco finale al tutto, cristallino e caldo al tempo stesso.
Il track-by-track:
La prima traccia, ‘Luminol’, è ormai ben nota ai fans. Utilizzando un metodo già sperimentato con i Porcupine Tree, Wilson l’ha presentata in anteprima durante il tour di Grace for Drowning, ottenendo un’accoglienza entusiastica. Il brano è fedele alla versione dei concerti, appena più arioso e nitido: quindi, un vero e proprio giro sulle montagne russe, con il poderoso basso di Beggs a fare da spina dorsale al pezzo, e ripetute aperture di fiati, tastiere e chitarre, punteggiati dalla voce limpida di Wilson.
‘Drive Home’ è una ballata in stile Blackfield, riflessiva, malinconica, ricca di pathos, impreziosita da un lancinante assolo finale di chitarra.
L’inizio di ‘The Holy Drinker’ richiama le sonorità frammentate di ‘No Twilight Within the Courts of the Sun’; poi, la ritmica, la voce, la chitarra, le tastiere, i fiati si intrecciano e si sciolgono a più riprese, dando vita ad un brano al tempo stesso classico ed innovativo, sicuramente imprevedibile: a tre quarti, infatti, il pezzo subisce un brusco arresto, si sospende quasi, preparando l’introduzione perfetta per la coinvolgente ed inquietante chiusura.
‘The Pin Drop’ è un piccolo gioiello incastonato al centro del disco. La voce di Wilson, con un registro più alto del solito, è ben sostenuta da cuscini di note sormontati dal sax di Travis. Il finale si apre con efficaci controcanti, già sperimentati da Wilson in Storm Corrosion, e prosegue in crescendo fino al tellurico finale.
In ‘The Watchmaker’ un morbido arpeggio di chitarra introduce il racconto della poetica e triste storia di un orologiaio. I toni sono intimi, raccolti, quotidiani, e la voce degli strumenti è ridotta all’essenziale. Poi il brano accelera il passo, omaggia apertamente i Pink Floyd, sale ancora di quota con un solforico assolo di Govan, fino ad avvitarsi in un vortice di distorsioni quasi senza fine.
Nella prima parte di ‘The Raven that Refused to Sing’ la voce di Wilson tiene di nuovo la scena, con una preghiera intensa come uno spiritual. Poi il pezzo cambia velocemente colore, cresce in un intreccio inesauribile di suoni, moltiplica i suoi strati fino a chiudersi dolcemente con una manciata di note, così come era cominciato. Per questo brano Jess Cope e Simon Cartwright (già autori del suggestivo video ‘Drag Ropes’ di Storm Corrosion) hanno realizzato un’animazione di cui sono stati anticipati alcuni promettenti fotogrammi.
Come di consueto, sono disponibili differenti versioni di questo lavoro: doppio vinile, blu-ray, CD e DVD con contenuti supplementari (tra cui una galleria di foto ed un documentario di Lasse Hoile) ed una lussuosa edizione limitata con due CD (di cui uno contenente demo ed un brano inedito), il DVD, il blu-ray ed un volume di ben 128 pagine con testi di Wilson ed immagini di Müller.
Il 1 marzo 2013 Wilson e la sua band cominceranno un tour che li porterà in Europa ed in America; in Italia è prevista una sola data, il 28 Marzo al Teatro della Luna di Milano. Durante i concerti, oltre ai brani di The Raven that Refused to Sing (and other stories), verrà presentato un brano del passato remoto dei Porcupine Tree ( nell’intervista che pubblichiamo a breve sveliamo quale). Un’occasione imperdibile per farsi contagiare dall’energia di Wilson e dalla sua inesauribile vena creativa, a quanto pare eterna e senza tempo, proprio come un fantasma.
Recensione di Paola Macchiavello;