Interviste ad artisti vari

Good Luck with Your Music: an interview with Adam Holzman

Adam Holzman
2024
Intervista ad Adam Holzman, condotta da Marco Del Longo a Mestre, Venezia.
L’intervista è stata creata, sviluppata e prodotta da Marco Del Longo, Cristina Negri e Domizia Parri.

English version Below

Ciao Adam! Benvenuto in Italia! 

Siamo il team italiano ufficiale che supporta tutti i progetti legati a Steven (Wilson!) e non appena abbiamo saputo che avresti tenuto dei seminari qui a Venezia, abbiamo colto l’occasione per incontrarti e per avere il piacere e l’onore di farti alcune domande per tutti i fan italiani.

Adam Holzman e Marco - Venezia 2024
Adam Holman assieme a Marco Del Longo a Venezia al termine della nostra intervista

Partiamo dall’attualità: come sta andando l’estate? Sappiamo che hai suonato in Portogallo con Marcelo Araujo e Roland Heinz, poi hai fatto un tour solista negli USA e ora sei qui in Italia per esibirti con Stefano e Davide e per partecipare al Moog Summer Camp. Quali differenze e somiglianze ci sono tra queste diverse attività?

Sono progetti diversi l’uno dall’altro e ho sempre la sensazione di reinventare costantemente la ruota. Venendo da un progetto, ho appena il tempo sufficiente per prepararmi e fare le valigie per quello successivo, ma non mi lamento perché le ultime estati sono state un po’ lente, a causa del post-pandemia, quindi è fantastico tornare in Europa un paio di volte durante l’estate per il tour da solista e poi poter suonare di nuovo in contesti diversi. Ma questi concerti sono molto diversi, quello in Portogallo era più un concerto jazz. Questo invece è con il mio amico Roland Heinz, che è un ottimo chitarrista. Abbiamo un progetto nello stile di un album di John Abercrombie, chiamato Timeless, con Jan Hammer alle tastiere. É un disco fantastico, e la nostra band è in un certo senso basata su quel disco, ed è davvero un bel progetto. Quindi è stato bellissimo andare in Portogallo, dato che non ci sono mai stato molto. Ma poi il tour da solista è stato la vera sfida, avevo un sacco di attrezzatura e molto lavoro, quando sei l’unico sul palco devi in qualche modo riuscire a creare un bello spettacolo da solo, e ho suonato una combinazione di piano solo ed elettronica, quindi è stato come andare avanti e indietro tra il jazz e le cose improvvisate al pianoforte o alcune canzoni che mi piacciono dai miei dischi originali, e inoltre l’elettronica sperimentale come il noise fest o qualcosa come i Tangerine Dream, o ancora qualcosa che forse ha un suono un po’ più progressivo, ad esempio jamming o sintetizzatore. È un po’ come se i Tangerine Dream e Keith Jarrett si alternassero durante un concerto. Ho detto Keith Jarrett solo perché è famoso per il suo pianoforte da solista e non perché voglio paragonarmi a lui, non sono neanche lontanamente vicino al suo livello. La descrizione abbreviata del mio concerto da solista, comunque, sarebbe i Tangerine Dream che incontrano Keith Jarrett o, come mi ha detto qualcuno, Keith Emerson che incontra Keith Jarrett. I concerti in programma con i miei colleghi italiani sono una sorta di combinazione di molte delle cose che ho fatto, musica simile alla mia ma con qualcosa di più. Non è solo uno show da solista e non è solo una cosa jazz, c’è un po’ più di varietà. C’è una sorta di componente elettronica o di pianoforte solo, c’è qualche jam jazz-rock, c’è qualcosa di Miles Davis, ecc…

E il seminario? Siamo curiosi.

Sono curioso anch’io a riguardo! Fondamentalmente è un workshop sui sintetizzatori, quindi gran parte del lavoro sarà alquanto tecnico, esamineremo esattamente tutte le funzioni del sintetizzatore, ma cercherò anche di convincere i partecipanti a pensare al suono in un certo modo, a scomporre i componenti del sintetizzatore, a suonare e capirlo, quindi applicarlo alla programmazione del sintetizzatore avrà poi molto più senso. Cercherò di portare alcune idee creative e di non renderlo solo un workshop tecnico. Sarà un’esplorazione. Parlerò di suonare da solisti, si spera, se ne avremo la possibilità. Se non ci sono troppe persone suoneremo anche qualche volta, quindi ho alcune idee folli che voglio provare, vedremo cosa succede e che tipo di studenti si presenteranno.

Proviamo ora a risalire alle origini del musicista Adam Holzman. Sei cresciuto in un ambiente profondamente musicale, grazie al lavoro di tuo padre Jac: è stato il fondatore della Elektra Records. Quanto è stata importante la sua attività nella tua formazione? In particolare, che impatto ha avuto su di te il fatto di essere stato vicino a giganti della musica come i Doors quando eri ragazzino?

Al novantanove per cento! Guarda i bambini: un bambino nasce e ha una personalità. Un bambino è il risultato del suo ambiente oppure già si presenta in un certo modo? Penso che sia metà e metà, ma per quanto riguarda la musica, penso che quell’ambiente sia stato molto più importante, determina molto di più dove il bambino andrà a finire musicalmente ed esteticamente. Sono stato un fan di quegli artisti e li ho adorati, e loro sono sempre stati molto gentili con me. Sono cresciuto nell’ambiente della casa discografica, ma il fatto è che nella mia carriera ho continuato a suonare anche da adulto con alcuni di quei musicisti. Ray Manzarek ha chiamato me e un gruppo jazz-rock che avevo a Los Angeles, per suonare in uno dei suoi album solisti chiamato Carmina Burana prodotto da Philip Glass, ci credi? Proprio di recente ho registrato un progetto jazz con John Densmore e lo stiamo ancora finendo e mixando. Quindi quei musicisti fanno parte del mio DNA musicale. Anche altri gruppi della Elektra furono molto influenti per me, ma non erano così popolari come i Doors. C’era una band funk chiamata Sweet Salvation che è stata fantastica: avevano un pianista incredibile e questa è probabilmente la band più di peso che non è diventata famosa, ma ce ne sono altre. Ero amico dei ragazzi di una band canadese chiamata The Wackers: probabilmente non ne hai mai sentito parlare, ma in realtà avevano un grande seguito; sono stato amico di Arthur Lee, della band Love. Mi ha portato a casa sua un paio di volte e siamo usciti insieme. Quei miei anni di gioventù nell’etichetta Elektra, lo stare in studio, andare ai concerti, andare a un concerto dei Doors quando avevo otto/nove anni, come potevano non influenzarmi?

Adam Holzman - Venezia 2024
Adam Holzman durante il concerto al Veneto Jazz Festival – 03.08.2024

Non possiamo non parlare delle contaminazioni musicali che sono parte integrante dell’essere musicista. Hai avuto l’opportunità di sperimentare innumerevoli collaborazioni nel corso della tua carriera. Tra i tanti artisti che ricordiamo: Chaka Khan, Michel Petrucciani, Grover Washington. Impossibile non citare Miles Davis, che nel 1985 ti chiamò a suonare le tastiere nel suo straordinario album Tutu (e anche il bellissimo concerto dal vivo che si può trovare online, That’s what happened – live in Germany 1987). Tra le varie e sorprendenti collaborazioni che hai avuto, sei arrivato a capire se c’è una tipologia di suono a cui sei più propenso e/o affezionato?

Non so dire riguardo al sentirmi a mio agio, ma c’è una base di partenza ed è sicuramente lo stile jazz-rock e funk. Il funk è una componente davvero importante della musica, ed è un po’ trascurato dal rock progressivo. Penso che i groove siano fondamentali per aiutare le persone a percepire la musica, e penso che uno dei motivi per cui forse il rock progressivo a volte esclude le persone è perché i groove sono troppo strani, ma dipende dalla band: se ascolti brani dei primi anni ’70 con Bill Bruford c’è del groove. Ma poi ascolti gli altri gruppi e non c’è più molto. Penso che il funk e il groove siano una componente davvero importante di ciò in cui personalmente mi piace ritrovarmi. Inoltre, i tre lati delle cose: l’elettronica, l’improvvisazione e il vivere il momento. All’ultima Cruise to the Edge è successa una cosa divertente. C’è stato un problema con la band Stickmen: è scomparso il basso di Tony Levin, e mentre loro lo cercavano (buona notizia: l’hanno trovato!) mi sono offerto per sopperire alla sua assenza e suonare con loro! Era un set improvvisato al 100%. Non avevo nemmeno mai sentito alcune delle canzoni che stavano per suonare! Ero lì in quel momento solo per vederli e il loro manager mi ha chiesto: “Non riusciamo a trovare gli strumenti di Tony, conosci qualcuno che possa suonare al posto suo?” E mi sono proposto! Mi hanno dato un piano elettrico e ho suonato proprio quel Fender Rhodes, un bel contrasto con tutta l’elettronica e le cose campionate che avevano pronte per il loro set. È stato uno di quei momenti che ho amato, in cui sali su un palco e svuoti la mente, l’esatto contrario di quando ho iniziato a suonare con Steven, quando dovevo salire sul palco e diventare un pilota d’aereo: devi avere tutto sotto controllo ed essere concentrato o perdi il filo, e se perdi il filo sei finito. Andavo nel panico alcune delle prime volte, soprattutto perché ero abituato a salire sul palco e dimenticarmi di tutto, dato che molti dei concerti che avevo fatto prima erano ispirati al jazz, mentre quello di Steven è uno spettacolo rock veramente pianificato ed elaborato.

Com’è stato suonare dal vivo con Miles Davis quando avevi vent’anni? Ti ha cambiato dal punto di vista professionale e personale?

Prima di tutto suonare con Miles è il tipo di concerto e di opportunità che cambierebbe qualsiasi musicista. Ho avuto la fortuna di stare con lui per quattro anni e non è stato sempre facile. Il concerto a volte era come la vita stessa: difficile, sorprendente, stimolante, spaventoso, ad alta pressione. C’erano tutte queste cose, ma non puoi farci niente: se suoni con qualcuno del genere non c’è modo di non cambiare come musicista e, si spera, di crescere.

Venendo alla prolungata collaborazione con Steven Wilson, nata dal tour di Grace for Drowning del 2011, e che prosegue tuttora: come descriveresti i tratti salienti del tuo processo creativo? Inoltre, puoi dirci qual è l’aspetto più interessante, sia dal punto di vista musicale che personale, che ti spinge ancora a suonare con Steven dopo tanti anni?

Tutto è iniziato appunto durante il tour di Grace for Drowning, che è stato davvero un momento fantastico. Ero un fan dei Porcupine Tree, e in quel periodo ho ricevuto un’e-mail dal manager di Steven che mi diceva che stavano cercando qualcuno che potesse suonare un assolo distorto di Fender Rhodes con la mano destra e un accordo di Mellotron con la sinistra. Ho iniziato a pensare: “Oh cavolo, sono io! Forza, andiamo!” Il nostro rapporto si è poi evoluto al punto che per The Harmony Codex ho scritto insieme a lui “Economy of Scales”. Devo dire che, a livello di esibizioni, il 90% di quello che suonavo era quello che lui aveva già pianificato. Quindi davo dei suggerimenti e qualche volta, quando registravamo i dischi in studio, ero un po’ più coinvolto negli arrangiamenti e nelle idee. Per la maggior parte sono i suoi suoni e i suoi concetti, ma ci sono alcune eccezioni. In “Vermillioncore”, ad esempio, ho ideato io stesso molte delle mie parti e, ovviamente, tutti gli assoli sono mie idee personali. Il nostro rapporto si è sviluppato nel corso degli anni e poiché Steven ha cambiato stile, lo ho seguito. Sono diventato più interessato alle cose che stava suonando verso le quali non avrei gravitato da solo, ma seguirlo  è stato un altro modo per evolvermi.

Hai già menzionato “Economy of Scales”. Come è nato questo pezzo e quale è stato il tuo ruolo nella composizione?

Il DNA originale del brano è nato da un’idea che ho avuto a casa. Avevo questo loop elettronico e ci ho inserito alcuni misteriosi accordi di pianoforte. Si trattava del cambio di accordi della strofa, le prime otto battute, credo. Ho inviato a Steven l’idea approssimativa e lui mi ha risposto dicendo: “Accipicchia, mandami subito queste tracce!” Quindi, sostanzialmente Steven lo ha sviluppato da lì. Ho dato il punto di partenza ed è stato fantastico quello che ha fatto, ma gli accordi misteriosi di base – La minore e Fa maggiore 7 su una fondamentale – con il loop elettronico sono stati un’idea che io gli ho fatto ascoltare.

Adam Holzman - Roma 2018
Adam Holzman durante un concerto di Steven Wilson all’Atlantico di Roma nel febbraio 2018 – Foto di Francesca Savina.

Un altro dei tuoi progetti è il trio Trifecta con Nick Beggs e Craig Blundell. Avete già pubblicato due album – Fragments e The New Normal – e il prossimo aprile il trio si esibirà dal vivo durante la crociera Cruise to the Edge. Il primo album aveva una vena più jazz, mentre il secondo ha un’atmosfera più strutturata. Come è nato il progetto e come nascono i vari brani? Durante la Cruise to the Edge, che tipo di performance possiamo aspettarci?

Non lo so ancora, ma sarà bizzarro! Nick Beggs sta per mettere in piedi uno spettacolo vivace, lasciate che ve lo dica! La mia unica preoccupazione è riunirsi tutti e tre per le prove, perché non è facile. Il progetto è nato così: Steven non ama fare i soundcheck. Controlla le chitarre, le tastiere, i microfoni per la voce, suona un po’ e poi se ne va. Ma io non posso suonare nel suo spettacolo senza riscaldarmi, quindi rimango sempre lì e continuo a suonare, e anche Nick e Craig lo facevano, così come Alex Hutchings. A volte Craig suonava un ritmo davvero strano, bello, oppure io inventavo una specie di pattern, o Nick una linea di basso: allora prendevamo il telefono e registravamo l’idea, dicendo: “Chi lo sa, forse ci faremo qualcosa!” Eravamo lì, a improvvisare e a dire a tutti di stare zitti in modo da poter registrare otto battute. Comunque, torniamo a casa e arriva la pandemia. Non c’era molto da fare, quindi abbiamo iniziato tutti a esaminare i nostri file e scoprimmo che avevamo un sacco di idee (ancora una volta, era il DNA!) per molte cose che abbiamo effettivamente composto insieme. Quindi, anche se il primo disco è stato registrato separatamente nei nostri studi, abbiamo comunque avuto la maggior parte delle idee insieme. Inoltre abbiamo suonato quasi trecento spettacoli insieme, quindi non è stata la stessa cosa di quando qualcuno fa un “album via email” con un gruppo di persone con cui non suona dal vivo. Abbiamo suonato insieme così tanto che è stato quasi come se ognuno di noi registrasse le proprie parti mentre gli altri due ragazzi nella sala di controllo lo guardavano. Parte del motivo per cui è nato tutto è ovviamente che si trattava di un’opportunità per noi di suonare e fare jam session più di quanto fossimo riusciti a fare con alcune delle cose più recenti, specialmente passando da uno stile più jazz rock, che era una delle cose che amavo riguardo a Grace for Drowning, verso qualcosa di diverso. Capisco che Steven si stesse muovendo verso una sorta di pop progressivo e si rivolgesse maggiormente a un pubblico mainstream, il che è importante, ma allo stesso tempo ho iniziato a sentirmi un po’ irrequieto e volevo suonare un po’ dei vecchi riff: ecco perché il progetto Trifecta è fantastico, perché per noi è uno sbocco per suonare di più. 

Un altro musicista a cui sei vicino – in tutti i sensi! – è tua moglie Jane Getter, che è un’abile chitarrista e ha recentemente pubblicato il suo nuovo album Division World (nel febbraio del 2024). Ci chiedevamo come riuscite a mantenere questa incredibile unione pur portando avanti i vostri rispettivi lavori solisti e lavorando anche su vari progetti insieme. È difficile lavorare insieme ed essere allo stesso tempo genuinamente critici?

A volte devo procedere con cautela (ride)! Sai, sono il co-produttore di Jane e le do sempre suggerimenti. Ciò che fa funzionare tutto questo è che io suono nel suo progetto e lei a sua volta suona nei miei progetti, quindi è chiaro che qualunque cosa voglia l’altra persona, la facciamo semplicemente senza discutere. A volte c’è una piccola discussione, ma fa parte del processo. Inoltre, tendiamo ad apprezzare molte delle stesse cose, musicalmente parlando, il che ci porta ad essere d’accordo su gran parte della nostra musica. Musicalmente abbiamo gusti un po’ diversi, ma alcuni elementi si sovrappongono. Inoltre è bravissima, se si arrabbia con me non lo resta a lungo, andiamo molto d’accordo e siamo sposati ormai da più di trent’anni. 

Anche tuo figlio Russell suona: come va la sua carriera?

Sta andando alla grande. Sta suonando con questa nuova popstar, Caroline Polachek, che avrà grande successo. Ha all’attivo due dischi, ma è già una star mondiale. Russell ha iniziato a suonare con lei all’inizio del 2023 e ha fatto un tour di un anno con lei. Siamo così orgogliosi di lui. È riuscito ad avere successo, ha anche suonato tre concerti quest’estate con la figlia di Madonna. Ha capito come suonare in uno stile breakbeat ma con la batteria dal vivo. Gran parte del materiale drum’n’bass è programmato e ci sono ragazzi che sanno suonare in quello stile, ma non così accuratamente. Russell ascolta moltissimi di questi famosi brani drum’n’bass, li rallenta, li trascrive e li suona per due settimane, prima lentamente, poi aumenta la velocità e poi riesce a riprodurre un brano breakbeat programmato, ma con la batteria dal vivo. E questa è una grande abilità che molti artisti cercano, soprattutto nel mondo del pop alternativo. Non ci sono molti batteristi in grado di farlo e, se ci sono, forse stanno facendo cose diverse, ma Russell si è concentrato esclusivamente su questo. Si sta muovendo nel mondo del pop con molti produttori importanti, qualcosa di veramente diverso dal mondo del jazz e del rock progressivo con cui io ho più familiarità.
(Con grande coincidenza, pochi giorni dopo questa intervista, Steven Wilson ha comunicato sui suoi profili social che proprio Russell ha registrato le batterie per uno dei due lunghi brani del suo prossimo disco The Overview ndr)

Adam Holzman - Verona 2018
Adam Holzman durante un concerto di Steven Wilson a Verona nel 2018.
Foto di Rebekka Fagnani

Il tuo ultimo album solista è Truth Decay del 2018. Nei sei anni successivi hai sempre pubblicato musica in ambienti di collaborazioni/band. Pensi che tornerai a suonare da solista o trovi maggiori soddisfazioni nelle collaborazioni?

Penso che sia importante fare entrambe le cose e mi piace fare entrambe le cose. Ho quasi finito un nuovo disco, che sarà diverso. Non sarà tanto un disco heavy incentrato sulla band e groove (come lo era Truth Decay). È più elettronico e una sorta di album in stile vecchi maghi delle tastiere. La maggior parte dei ritmi sono generati con sintetizzatori analogici. C’è molto pianoforte e moog e ho alcuni ospiti speciali, come un percussionista molto interessante di nome Arjun Bruggeman e un sassofonista, Ofer Asaff. Anche Jane suonerà in una canzone e ci sono poche altre persone, ma è soprattutto un vero album solista. Si chiamerà Zombie Apocalypse e l’artwork è realizzato da Hajo Mueller. Uscirà, si spera, entro la fine dell’anno. Non vedo l’ora di pubblicarlo.

Come ti piace trascorrere il tuo tempo libero? Hai qualche altra passione oltre alla musica e ai divertenti fumetti che disegni? (vedi bigfuncomics.com)

Principalmente ho la musica e disegno fumetti. A me e Jane piace fare escursioni attraverso il paese e evadere con gite nei B&B in Pennsylvania, che è davvero verde e bellissima. Inoltre sono un appassionato di cinema e un fan della fantascienza, sicuramente mi mantengo al passo su questi fronti. Ho molti interessi, ma a volte le cose legate alla musica occupano tutto il mio tempo tra l’insegnamento, l’imparare nuova musica, i concerti e la realizzazione di progetti a casa. Non mi sento a posto nel prendermi del tempo libero finché non ho concluso qualcosa. Di recente, a dire il vero, mi sono dedicato molto di più alla scrittura. Ho inaugurato questo blog, è attivo ormai da quasi ventisei settimane, in cui racconto dei dischi pubblicati dalla Elektra Records mentre ero piccolo. Lo continuerò scrivendo dei dischi su cui ho suonato e che sono stati parti importanti della mia vita.

C’è qualche nuovo artista, proveniente come te dagli Stati Uniti o da qualsiasi altra parte del mondo, che apprezzi?

Caroline Polachek è sicuramente una grande nuova artista. Sta facendo un sacco di cose interessanti e sa cantare, è una cantante di formazione lirica con un’enorme estensione vocale. Si occupa di scrittura e produzione davvero creativamente. Mio figlio mi ha inoltre fatto ascoltare alcuni di questi DJ progressivi che fanno cose davvero fuori dal comune, come Oneohtrix Point Never. In realtà mi ritrovo a cercare di scoprire artisti del passato: c’è così tanta musica, ad esempio, di Keith Jarrett, che non conosco bene, che vorrei davvero conoscere e ascoltare. Da luglio scorso fino a gennaio, fatta eccezione per la musica su cui ho dovuto lavorare per lavoro e insegnamento, ho ascoltato solo i Weather Report, che è pazzesco! È davvero interessante immergersi completamente nel catalogo di qualcuno e non puoi farlo con nuovi artisti, devi farlo con un artista che abbia già una certa longevità.

Qual è l’ultimo disco che hai comprato?

Un produttore e scrittore chiamato John Simon realizzò un disco nei primi anni ’70 intitolato Journey ed è una vera e propria chicca indie. Canta con una voce da cantautore, un po’ come Mose Allison, suona il piano e ha una fantastica band di New York, ma è la composizione che è davvero, davvero interessante. Sono stato felice di trovarlo perché lo cercavo con accanimento.

C’è qualcosa che vorresti dire al Fan Club di Steven Wilson in Italia?

Grazie per tutto il supporto e l’interesse nel corso degli anni, e grazie per aver prestato così tanta attenzione ai musicisti della band e alle loro carriere!

ENGLISH VERSION

Hi Adam! Welcome to Italy! 

We are the official Italian team supporting all projects related to Steven (Wilson!) and as soon as we knew that you would be holding seminars here in Venice, we took the opportunity to meet you, and to have the pleasure and honor of asking you some questions for all your Italian fans.

 

Let’s start with current events: how is the summer going? We know that you have played in Portugal with Marcelo Araujo and Roland Heinz, then you did a solo tour in the USA and now you are here in Italy to perform with Stefano and Davide and to attend the Moog Summer Camp. What differences and similarities are there between these various activities?

They are different from each other and I’m always feeling like I’m constantly reinventing the wheel. Coming from one project, I have just enough time to prepare and pack for the next one, but I’m not complaining because the last few summers have been kinda slow, you know, post-pandemic, so it’s great to get back to Europe a couple of times in the summer and to do the solo tour and just get out and do some playing again in different contexts. But the gigs are very different, the Portugal thing is more of a jazz gig. That’s with my friend Roland Heinz, who is a very good guitar player. We have a project in the style of a John Abercrombie album, called Timeless, with Jan Hammer on keyboards. This is an amazing record, and our band is kinda based on that record, and it’s a really cool project. So it’s beautiful going to Portugal, I haven’t been there very much. Then the solo tour was the real challenge, it was a lot of equipment that I had and a lot of work, I mean when you’re the only guy you have to deliver somehow and I did a combination of solo piano and electronics, so it’s like going back and forth between jazz and improv things I’ve done on the piano or some songs I like from my originals and then experimental electronic like noise fest or something like Tangerine Dream or something maybe a little bit more progressive sounding, you know, jamming or synthesizer, so it’s back and forth. It’s kinda like if Tangerine Dream and Keith Jarrett were all alternating on a gig. I only said Keith Jarrett because he is famous for his solo piano and not because I want to  compare myself to him, I’m not anywhere near his level. The shorthand description of my solo gig, anyway, would be Tangerine Dream meets Keith Jarrett or, as someone said to me, Keith Emerson meets Keith Jarrett. The gigs coming up with my Italian guys are sort of a combination of a lot of the stuff I’ve been doing, some similar music but a little bit more than that. It’s not just a solo thing and it’s not just a jazz thing, there’s a little bit more variety. There’s  some sort of electronics or solo piano, there’s some jazz-rock jamming, there’s some Miles stuff etc…

 

What about the seminar? We’re curious about it.

I’m curious about it, too! It’s basically a synthesizer workshop so a lot of it is gonna be a little bit technical, exactly going through all the functions of the synthesizer, but also trying to get folks to think of sound in a certain way, to break down the components of the sound and understand that, and then you can apply that to synthesizer’s  programming and makes a lot more sense. I’m gonna try to bring some creative ideas and not make it only a technical workshop. It’s gonna be an exploration. I’m gonna talk about soloing, hopefully, if we get a chance. If it’s maybe not too many people we’ll even do some playing, so I’ve got some wild ideas I wanna try, we’ll see what happens and see what kind of students show up.

Let’s now try to trace the origins of Adam Holzman the musician. You grew up in a deeply musical environment, thanks to your father Jac’s job: he was the founder of Elektra Records. How important was his activity in your education? In particular, what impact had on you the fact that you were close to musical giants such as The Doors as a kid?

Ninety-nine percent! Look at kids, a kid is born and has a personality. Is a kid the result of their environment or do they show up a certain way? I think it’s about half and half, but regarding music, I think that that environment has been much more important, it determines much more where the kid is going to end up musically and aesthetically. I was a fan of these artists and I worshiped them, and they were always very nice to me. I was a record company son, but the fact is that I went on in my career to actually play with some of those guys too. Ray Manzarek hired me and a jazz-rock group I had in LA, to play on one of his solo albums called Carmina Burana produced by Philip Glass, do you believe that! Just recently I recorded a jazz project with John Densmore and we’re still finishing it and mixing it. So those guys are part of my musical DNA. Other groups on Elektra, too, were super influential to me, but they were not as popular as The Doors. There’s a funk band called Sweet Salvation which was amazing: they had a killer piano player and that is probably the heaviest of the bands that didn’t make it big, but there are some others. I was friendly with the guys from a Canadian band called The Wackers:  you’ve probably never heard of them, but they actually had a big following; I was friendly a little bit with Arthur Lee, of the band Love. He took me out to his house a couple of times and hung out. Those early years around the Elektra label, being around the studio, going to concerts, going to a Doors concert when I was eight/nine years old, I mean how could that not influence somebody?

 

We can’t help but talk about the musical contaminations that are an integral part of being a musician. You have had the opportunity to experience countless collaborations throughout your career. Among the many artists we remember are Chaka Khan, Michel Petrucciani, Grover Washington. It is impossible not to mention Miles Davis, who in 1985 called you to play keyboards on his extraordinary album Tutu (and also the beautiful live concert that can be found online, That’s what happened – live in Germany 1987). Among the various and surprising collaborations you had, have you come to understand if there is a type of sound to which you are more inclined and/or attached?

I don’t know about being more comfortable, but there is a home base and it is definitely the basic jazz-rock style and funk. Funk is a really important component of music, and it’s a bit overlooked by progressive rock. I think grooves are critical to help people feel about music, and I think one of the reasons why maybe progressive rock sometimes leaves people outside is because the grooves are too weird, but it depends on the band: if you listen to tracks from the early ‘70s with Bill Bruford there is groove there. But then you listen to other guys and there is not so much. I think funk and groove are a really important component of where I personally like to see myself. Also, the three sides of things: electronic, improvisation and being in the moment. A funny thing happened at the last Cruise to the Edge. There was a problem with the band Stickmen: Tony Levin’s bass went missing, and while they were looking for it (good news: they found it!) I volunteered to fulfill his absence and play with them! It was a 100% improvised set. I hadn’t even heard some of the songs they were playing! I had wandered over to that stage just to check them out and their manager said to me: “We can’t find Tony’s instruments, do you know someone that can play instead of him?” And I proposed myself! They got me an electric piano and I played just that Fender Rhodes, a nice contrast with all the electronics and sampled stuff they had for their set. It was one of those moments I loved, where you just go on a stage and empty your mind, the complete opposite to when I started playing with Steven, when I had to go on stage and become an airplane pilot: you have to have your shit completely together or you lose the thread, and if you lose the thread you’re gone. I would panic some of their first times, especially because I was used to walking onstage and forget about everything, as a lot of the gigs I had done before were jazz inspired, while Steven’s is a truly planned and elaborate rock show.

 

How was getting the gig with Miles Davis in your twenties? Has it changed you from a professional and personal point of view?

First of all playing with Miles is the kind of gig and opportunity that would change any musician. I was very fortunate to be with him for four years, and it was not always easy. The gig sometimes was like life itself: difficult, amazing, inspirational, scary, high pressure. It was all these things, but you cannot help it: if you’re playing with someone like that there’s no way you’re not going to change as a musician and hopefully grow.

 

Coming to the prolonged collaboration with Steven Wilson, born from the Grace for Drowning tour in 2011, and which is still going strong: how could you describe the salient features of your creative process? Also, can you tell us what is the most interesting aspect, both from a musical and a personal point of view, that still pushes you to play with Steven after so many years?

It all started on the Grace for Drowning tour, which was really a great time. I was a Porcupine Tree fan, you know, and at that time I received an email from Steven’s manager telling me that they were looking for somebody that can play a distorted Fender Rhodes solo with their right hand and a Mellotron chord with their left. I started thinking: “Oh man, that’s me! Come on, let’s go!” Our relationship evolved to the point that on The Harmony Codex I co-wrote ‘Economy of Scales’ with him. I have to say that, when it came to performances, 90% of what I played was what he already planned out. So I would make suggestions and sometimes, when we were recording the records in the studio, I was a little bit more involved in arrangements and ideas. For the most part it’s his sounds and concepts, you know, but there are some exceptions. In ‘Vermillioncore’, for example, I figured out a lot of my own parts, and of course all the solos are my own personal ideas. Our relationship has developed over the years, and as he has changed style I’ve gone with him. I’ve become more interested in the stuff that he was performing which I wouldn’t have gravitated towards on my own, but with him it was another way to stretch.

 

You already mentioned ‘Economy of Scales’. How did this piece come about and what was your role in the composition?

The original DNA came from an idea I had at home. I had this electronic loop and I put some mysterious piano chords to it. It was the verse chord changes, the first eight bars, I guess. I sent Steven the rough idea and he mailed me back saying: “Oh man, send me these tracks right away!” So, he basically developed it from there. I gave the starting point and it was amazing what he did with it, but the basic mysterious chords – A minor and F major 7th over a root – with the electronic loop was an idea I showed him.

 

Another of your projects is the trio Trifecta with Nick Beggs and Craig Blundell. You have already released two albums – Fragments and The New Normal – and next April you will perform live during the Cruise to the Edge. The first album had more of a jazz vein, while the second saw a more structured feel. How did the project come about and how are its various tracks born? During the Cruise to the Edge, what kind of performance can we expect?

I don’t know yet, but it’s going to be freaky! Nick Beggs is going to put out a freak show, let me just tell you that! My only concern is getting together for the music, because it is not easy. That’s how the project started out: Steven does not love doing soundchecks. He checks his guitars, keyboards, vocal mics, plays a little bit and then he’s out of there. But I can’t play his show without warming up, so I’d always stick around and keep jamming, and Nick and Craig would do, too, as well as Alex Hutchings. Sometimes Craig would play a really weird, cool beat, or I’d come up with some kind of a pattern, or Nick with a bass line and we would grab the phone and record the idea, saying: “Who knows, maybe we will do something with it!” We were there, jamming, and telling people to be quiet so that we could record eight bars. Anyway, we go home and the pandemic hits. There was not much to do, and we all sort of started going through our files and we had a lot of ideas – again, DNA! – for a lot of stuff that we actually came up with together. So, even though the first record was recorded separately in our own studios, we came up with most of the ideas together. Also we have played close to three hundred shows together, as well, so it’s not the same thing as when someone does an “email record” with a bunch of people that they don’t play with. We played together so much that it’s almost like we were each recording our parts with the other two guys in the control room watching. Part of the reason why it came together is quite obviously an opportunity for us to jam out more than we were able to do on some of the more recent stuff, especially going from a more jazz rock thing, which was one of the things I loved about Grace for Drowning, to something different. I understand that Steven was moving towards a kind of progressive pop and tap more into a mainstream audience, which is important, but at the same time I started feeling a little frisky and wanted to do a bit of the old riffing, so that’s why something as Trifecta is great, it’s an outlet for us to play more of that.

 

Another musician you are close to – in every sense! – is your wife Jane Getter, who is an accomplished guitarist and has recently released her new album Division World (on Feb ’24). We were wondering how you manage to maintain this incredible union while carrying on your respective solo works and also working on various projects together. Is it difficult to work together and also be genuinely critical at the same time?

Sometimes I have to tread carefully (laughs)! You know, I’m Jane’s co-producer and I’m always making suggestions. What makes it work is that I play in her project and she plays in my projects, so it’s clear that whatever the other person wants, we just do it. Sometimes there’s a little argument, but that’s part of the process. Also, we tend to like a lot of the same things, which makes us tend to agree on a lot of stuff. We have somewhat different tastes musically, but something overlaps. Also, she’s great, if she gets mad at me it’s not for long, we get along very well and have been married for over thirty years now.

 

Your son Russell plays, too: how is he doing?

He’s doing great. He’s been playing with this new popstar, Caroline Polachek, who is going to be a big deal. She’s got two records out, but she is already a worldwide star. He started playing with her at the beginning of 2023 and did a year-long tour with her. We’re so proud of him. He’s managed to be successful, he also played three gigs this summer with Madonna’s daughter. He figured out how to play in a breakbeat style but with live drums. A lot of the drum’n’bass stuff is programmed and there are guys that can play in that style, but not that accurately. Russell listens to a lot of these famous drum’n’bass tracks, slows them down, transcribes them and plays them for two weeks, slowly at first, then gets up the speed and then he’s able to reproduce a programmed breakbeat track with live drums. And that’s a skill that a lot of artists are looking for, especially in the alternative pop world. There are not many drummers that can do it and, if there are, maybe they’re doing different stuff, but Russell has appositely been focusing on it. He’s rolling in the alternative pop world with a lot of important producers, something really different from the jazz and progressive rock world I’m more familiar with.
(With great coincidence, just a few days after this interview, Steven Wilson announced on his social media profiles that Russell had recorded the drums for one of the two long tracks on his upcoming album The Overview ed.)

  

Your last solo album is Truth Decay from 2018. In the following six years you have always released music in collaboration/band environments. Do you think you will return to solo material or do you find greater satisfaction in collabs?

I think it’s important to do both and I like doing both. I have almost finished a new record, which is going to be different. It’s not going to be so much as a heavy band and heavy groove record (as Truth Decay was). It’s more electronic and sort of old fashioned keyboard-wizard album. Most of the rhythms are generated with analogue synthesizers. I have a lot of piano and moog and some special guests, such as a very interesting percussionist named Arjun Bruggeman and tenor sax player, Ofer Asaff. Jane is also playing on one song and there are few other people, but it’s mostly a real solo album. It’s going to be called Zombie Apocalypse and the artwork is made by Hajo Mueller. It’s going to come out, hopefully, by the end of the year. I’m almost finished with it. I’m looking forward to putting that out.

 

How do you like to spend your free time? Do you have any other passion besides music and the funny cartoons you draw? (see bigfuncomics.com)

Mostly music and drawing cartoons. Jane and I like to go hiking through the country and get away to B&Bs in Pennsylvania, which is really green and beautiful. Also I’m a movie buff and a sci-fi fan, I definitely keep up on that front. I have got many interests, but sometimes the music stuff takes all your time between teaching, learning new music, making gigs and doing projects at home. I don’t feel right about taking time off unless I have something done. Recently I got a lot more into writing, as a matter of fact. I’ve started this blog, which has been running for almost twenty-six weeks now, on records that were released by Elektra Records while I was growing up. I’m going to continue it now beside Elektra, writing about records that I have played on and were important parts of my life.

 

Is there any new artist, from the US where you’re from or from anywhere in the world, that you appreciate?

Caroline Polachek is definitely a new artist. She is doing a lot of interesting stuff and she can sing, she’s an opera trained singer with a huge vocal range. She does really creative writing and production. My son has been playing me some of these sort of almost progressive DJs which are doing really far out stuff, like Oneohtrix Point Never. I actually find myself trying to discover stuff from the past: there’s so much music by, for example, Keith Jarrett, that I’m not that familiar with, that I really want to know and listen to. From last July until January, except for music that I had to work on for jobs and teaching, I only listened to Weather Report, which is crazy! It’s really interesting to completely immerse yourself in someone’s catalog and you can’t do that with new artists, you have to do that with an artist that has longevity.

 

What is the last record you bought?

A producer and writer called John Simon made a record in the early 70s called Journey and it’s a real sort of rare indie collection. He sings in a songwriter kind of voice, a bit like Mose Allison, he plays piano and has an amazing New York band, but it’s the composition which is really, really interesting. I was happy to find it available, as I was really looking for that.

 

Anything you’d like to say to the Steven Wilson Fans Club in Italy?

Thanks for all the support and interest over the years, and thank you for paying so much close attention to the guys in the band and their careers!

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