Interviste ad artisti vari

A Confession… an interview with no-man’s Tim Bowness

no-man box set housekeeping
2024
Intervista a Tim Bowness condotta da Marco Del Longo e Cristina Negri

English version Below

Guarda la versione video dell’intervista | See the video of the interview!

Cristina: Come è noto, l’origine del nome no-man deriva da una frase storica tratta dal poema dal titolo “No Man is an Island”, del poeta e saggista inglese John Donne, scritto nel 1624 e che purtroppo è quanto mai attuale e torna ciclicamente ad essere di ispirazione per le contingenti situazioni socio-politiche. La stessa PJ Harvey a giugno 2016, ospite al festival olandese “Down The Rabbit Hole”, nel bel mezzo della sua performance recitò la poesia di Donne proprio in risposta all’esito delle votazioni del referendum Leave or Remain sulla Brexit. No-man quindi racchiude in sé un significato assolutamente emblematico a nostro parere dei tempi storici che stiamo attraversando, confermando purtroppo che la divisione tra esseri umani forse è sempre più palese ed evidente. A tal proposito vogliamo chiederti se, a tuo parere, nella società e nel momento attuale, credi ancora che la musica possa rendere ognuno di noi meno un’isola, e in che modo.

Tim: Bene, hai iniziato con una domanda seria! Penso tu abbia ragione. Viviamo in tempi sempre più divisivi e non credo che si tratti solo di Brexit o Trump. Ci sono molte altre questioni, dal conflitto israelo-palestinese e così via. Sembra che sia molto difficile mantenere, in particolare in questa ‘era dei social media’, un dialogo articolato, ragionato ed equilibrato in cui le persone si possano ascoltare reciprocamente. Ciascuna parte di una discussione ritiene che la propria posizione sia ben formulata. Non mi piace necessariamente essere divisivo, ma vedo persone di entrambe le parti comportarsi in modo spaventoso e scrivere in modo incredibilmente aggressivo. Ad esempio, c’è un giornalista di sinistra molto rispettato – che mi piace ma non menziono – che regolarmente lancia insulti ai politici, il che non fa altro che alimentare la rabbia e il pregiudizio, mentre in realtà dovrebbe esserci un’analisi dettagliata del motivo per cui questo è un atteggiamento sbagliato da avere. Penso che ciò sia dovuto alla natura dei social media. Qualunque sia la ragione, sembra che un discorso ragionevole da entrambe le parti non sia possibile e non sia benvenuto. E, in realtà, non biasimo le persone per il fatto di non provarci perché, quando ci provano, vengono criticate dalla loro stessa fazione per non aver insistito con la forza che avrebbero dovuto, e vengono criticate dall’opposizione per aver avuto la temerarietà di non essere d’accordo. Quindi penso che la natura della discussione politica sia diventata quasi insostenibile al giorno d’oggi. A questo proposito, in un certo senso, a volte ho scelto questa opzione di rifugiarmi nella bellezza.
C’è uno dei primi testi dei no-man che si collega al cofanetto, è un lato B di Lovesighs scritto tra il 1990 e il 1991, che racconta il caos urbano fuori dalla stanza in cui abita questa persona che, dal momento che sente che la sua voce è troppo debole, si sta ritirando nell’arte: musica, letteratura, film. Devo dire che a volte mi sento colpevole di questo, adesso, che sento che la mia voce ha così poco peso, e poiché non voglio essere parte di quel feroce disaccordo da entrambe le parti, in un certo senso sento di perdermi nella bellezza della musica o nella fantasia di un libro, in parte per fuggire. Spero davvero che la musica, la letteratura e il cinema possano ancora essere una sorta di guarigione che unisce le persone. Sono davvero fortunato per il fatto che quando incontro i fan ai concerti o quando parlo con loro online, in generale, non entriamo in dibattiti politici, ma entriamo invece in discussioni dettagliate ed entusiaste su cosa significhino le canzoni per noi o cosa l’arte può significare per noi. Quindi in un certo senso stiamo aggirando i problemi, ma spero che sia un fattore unificante nonostante il mondo in cui viviamo. L’unica altra cosa che direi per proseguire è che, ovviamente, dobbiamo vivere come se nessuno fosse un’isola, non possiamo vivere senza essere consapevoli del caos politico che ci circonda, quindi trovo che che dal punto di vista dei testi, anche quando non ne sono consapevole, queste cose trapelino nelle canzoni. Non puoi fare a meno, in quanto essere umano nel 2023, di essere colpito dalla disumanità che vedi intorno a te.

Cristina: Sono completamente d’accordo con te e penso che lo sia anche Marco. Per il fatto stesso che siamo qui, crediamo che la musica possa ancora fare la differenza, in qualche modo.

Marco: E a proposito di arte in tutte le sue forme, la foto di copertina del cofanetto Housekeeping è molto bella, in linea con lo stile degli album dei no-man, ma allo stesso tempo è qualcosa di nuovo. Penso che sia opera di Carl Glover, ma vorrei chiederti come siete arrivati a quell’immagine.
Tim: È ​​interessante, perché varia da disco a disco. Per alcuni avevo un’idea molto forte della copertina. Sapevo esattamente cosa volevo per le copertine di Flowermouth, Returning Jesus e Dry Cleaning Ray
e Carl Glover le ha rese realtà. Ma poi, per esempio, quando ho descritto il concetto dietro Together We’re Stranger, lui stesso ha ideato quell’immagine, ed è una delle mie copertine dei no-man preferite, poiché incapsula perfettamente i testi e l’atmosfera, pur essendo questa anche una visione piuttosto fresca e astratta della cosa.
D’altro canto, sia io che Steven sapevamo cosa volevamo per Love
You to Bits. Ed è stato interessante, perché ci sono voluti duecento tentativi per ottenere la copertina che volevamo. Non credo che Carl abbia mai impiegato più tempo, e la cosa strana è che sapevamo in modo molto specifico cosa volevamo. Penso che Carl abbia probabilmente tratto molte copertine per i The Pineapple Thief e i Marillion dalla pila degli scarti di Love You to Bits, perché erano copertine davvero buone. Semplicemente non era quello che pensavamo, articolato nella musica o nei testi.
Per Housekeeping Carl aveva le mie note di copertina, quelle di Matt Hammers, l’elenco dei brani e il titolo. Quindi ha inventato una serie di variazioni, e questa volta penso che invece di duecento ne abbia prodotte circa diciotto. Per una di queste, sia io che Steven abbiamo immediatamente pensato: “Okay, c’è una sorta di qualità inquietante, che in un certo senso riflette la sensazione di alcuni dei primi lavori dei no-man”. Quindi tutto si è sviluppato da lì, in effetti. Abbiamo trovato un’immagine che ci è piaciuta e che ci ha portato a molte altre immagini e poi al cofanetto, che ovviamente contiene molte fotografie d’epoca, matrici di biglietti, poster e così via. Quindi, questa copertina deriva più dal punto di partenza di Carl che dal nostro punto di partenza, ma tutti noi abbiamo contribuito al modo in cui appare il cofanetto nel suo insieme.

Cristina: Oltre al cofanetto Housekeeping, uscirà anche Swagger. Puoi dirci qualcosa a riguardo? Perché pubblicare entrambi i prodotti contemporaneamente? C’è un risparmio se acquistati insieme?
Tim: Avevamo finito il cofanetto molto tempo fa, probabilmente circa un anno e mezzo, o due anni fa. L’artwork, il cofanetto, il mastering, tutto era pronto, ma è stato sospeso perché Steven stava pubblicando i suoi album e poi quello dei Porcupine Tree. La cosa bella di Swagger è che non ce lo aspettavamo. È successo in modo del tutto spontaneo, probabilmente solo tre mesi fa, quando ho ascoltato alcuni brani di quel periodo. Ho parlato con Steven e ho detto “Vedi, sono davvero ottime canzoni”. E Steven, nei giorni successivi, mi ha detto: “Sai, avevamo scritto questo e quest’altro nello stesso periodo”, e ha portato alla luce circa 40, 50 minuti di musica, alcuni dei quali avevo completamente dimenticato. C’è un pezzo che è un’improvvisazione tra me e Steven, direttamente su cassetta, era adorabile e ho pensato: “Come l’abbiamo fatto? Quando l’abbiamo fatto?” Ed è così che sono venuti fuori i brani di Swagger. Così, all’improvviso, entrambi stavamo ascoltando di nuovo brani che avevamo scritto nel corso di un anno e che non abbiamo mai realmente documentato, perché, quando i no-man si sono formati per la prima volta, erano molto eclettici. Steven ed io avevamo gusti molto diversi, e la musica spaziava da pezzi davvero brevi e incisivi con una sorta di elemento funk o post-punk, a ballate epiche di sette minuti e mezzo, a pezzi con una qualità quasi progressive o psichedelica, o ai pezzi presenti su Speak.
L’album Speak è qualcosa da cui eravamo ossessionati, una sorta di territorio senza tempo, quasi cantautorale. Entrambi amavamo molti cantautori degli anni ’60 e dei primi anni ’70, persone come Nick Drake, John Martin, Sandy Denny, Nico, e amavamo anche molta della musica di quel periodo in cui ci siamo incontrati per la prima volta, con artisti come i Cocteau Twins e i Dead Can Dance che producevano questa musica davvero bellissima, quasi senza tempo. E quindi Speak era, forse, spero, la nostra versione distintiva di ciò. In quel periodo, tuttavia, stavamo ancora scrivendo canzoni rock davvero violente e ballate epiche.
Abbiamo prodotto ‘Colors’ nel 1990, abbiamo firmato il contratto e da lì in poi è tutto ben documentato. Ma ciò che non è documentato è quel periodo tra Speak e ‘Colors’, quando facevamo musica con lo scopo di suonare dal vivo. Suonavamo a Londra e Manchester, e anche se non avevamo un contratto con una casa discografica, stavamo costruendoci un pubblico e attirando persone che venivano a vederci come band dal vivo. Stavamo scrivendo la musica per quelle esibizioni dal vivo, che erano davvero emozionanti. Devo dirlo, mi manca ancora adesso. Eravamo io, Steven e Ben, e noi tre eravamo quasi come tre frontman sul palco, piuttosto dinamici. Stavamo lavorando con dei nastri di accompagnamento, ma era tutto molto vivo e molto spontaneo. Quindi Swagger raccoglie la musica che avevamo scritto e registrato durante quel periodo, che non è mai stata pubblicata adeguatamente. Va dall’estate del 1989 all’estate del 1990, subito prima di ‘Colors’, che è molto diverso. Swagger cattura davvero un lato davvero insolito e unico della band. La maggior parte è in una modalità più elettronica, ma è anche più influenzata dal rock, a causa dell’elemento live.
La cosa interessante è che è venuto fuori quasi come il primo album che non abbiamo mai pubblicato, perché funziona davvero coerentemente come un unico disco, allo stesso modo di Speak. Probabilmente abbiamo ancora un’altra ora di materiale, che però è abbastanza diverso. È stato molto emozionante, perché tutto è accaduto molto velocemente. Abbiamo pensato: “Dio, è proprio bello!” ed è per questo che lo stiamo pubblicando. Swagger viene pubblicato dall’etichetta Burning Shed, come una sorta di uscita fatta in casa, mentre il cofanetto viene pubblicato dall’etichetta originale che ha pubblicato quel materiale, la One Little Indian. Sono venuti alla luce in due momenti diversi e ovviamente è stato incredibile mettere insieme qualcosa così rapidamente. Entrambi ci siamo sentiti davvero emozionati e abbiamo scritto delle note di copertina, quindi la cosa bella è che è stato creato nello stesso modo in cui lo era stata anche la musica. È stato abbastanza rapido, a differenza della mia spiegazione!

Marco: Cosa ci dici del cofanetto Housekeeping? Cosa contiene, oltre ai primi due album della band, Loveblows & Lovecries e Flowermouth?
Tim: C’è il materiale di Lovesighs, ovvero i singoli e le B-side del primo periodo, e un bel po’ di mix alternativi dalle sessioni di Loveblows & Lovecries. Sono ancora davvero soddisfatto di quel disco, mi è sempre piaciuto, e anche a Steven. Dato che non è mai stato ristampato, la gente ha sempre pensato che non ci piacesse, cosa che non è vera. La storia dietro l’album è particolare. Avevamo finito l’album nel 1992, e ho una versione definitiva con la copertina finita che solo io e Steven abbiamo. È la versione originale dell’album, ed è in realtà diversa al 50% da quella che alla fine venne pubblicata. Conteneva una versione più lunga di ‘Sweetheart Raw’, una versione molto più lunga di ‘Tulip’ e un mix completamente diverso di alcune canzoni. Mentre lo stavamo registrando, siamo andati in molti dei più grandi studi della Gran Bretagna. Usavamo studi molto grandi con ingegneri del suono importanti, persone che lavoravano con i The Shamen e Bjørk, che all’epoca erano nella nostra stessa etichetta. E, cosa interessante, quella versione dell’album fu rifiutata. La casa discografica disse che non ci sarebbe stato nessun singolo di successo. Ovviamente ne fummo un po’ seccati, inizialmente, ma tornammo indietro e registrammo qualche altro pezzo. A loro piacque molto ‘Only Baby’, che piaceva anche a noi, per quanto fosse una delle poche cose che avevamo scritto con l’idea di comporre un singolo in mente. Abbiamo rimodellato l’album attorno a ‘Only Baby’: abbiamo creato un’introduzione orchestrale e abbiamo ripensato il resto dell’album. Abbiamo tolto un paio di pezzi, ne abbiamo inseriti altri, e poi abbiamo avuto la certezza delle nostre opinioni. Nella versione originale, ad esempio, c’era una versione di ‘Painting Paradise’ che avevamo registrato in un enorme studio con tantissimo riverbero. L’abbiamo ascoltata e abbiamo pensato: “Non siamo noi”, e così abbiamo scelto invece il demo che avevamo registrato nello studio di Steven. Se guardate i crediti della versione finale di Loveblows & Lovecries, molte di quelle tracce sono state registrate nel nostro studio di casa. Quindi, alla fine, la seconda versione dell’album uscita nell’estate del 1993 è quella che pensavamo fosse migliore. Abbiamo incluso in questo cofanetto alcuni mix alternativi della prima versione, così le persone possono decidere se eravamo matti o no. Poi ci sono le sessioni radiofoniche che abbiamo fatto alla BBC, sia acustiche che elettriche. C’è Colin Edwin che suona il contrabbasso in cinque o sei brani e Chris Maitland che suona la batteria in uno. Ovviamente Chris è un grande batterista, ma tutto ciò che fece in questa sessione radiofonica acustica dal vivo è colpire un piatto [ride], e se andava fuori tempo, lo indicavamo e lo sgridavamo. C’è anche una registrazione di ‘Sweetheart Raw’ alla BBC Radio Five, che non è mai stata pubblicata prima. L’abbiamo eseguita con il batterista di una band chiamata Slab [Chris Baker], che piaceva sia a me che a Steven. Non l’avevo mai sentita finché non abbiamo lavorato al cofanetto. Infine, all’interno del box set troverete un saggio di Matt Hammers, un giovane americano che gestisce un blog dedicato ai no-man, poi un mio saggio, un piccolo saggio di Steven e anche molte fotografie dell’epoca.

Cristina: La nostra prossima domanda riguarda in realtà il booklet, sembra davvero interessante. Quanto è grande?
Tim: È un box set da 10×10 pollici, con cinque dischi e 64 pagine. Fondamentalmente abbiamo provato a ricomprare la musica dall’etichetta discografica, ma loro non hanno voluto; alla fine abbiamo lavorato in associazione, per produrre la cosa migliore e più bella che potevamo. Il libretto contiene di tutto, dalle prime recensioni a ottimi esempi di cassette a nastro e, non so come l’abbiano ottenuto, ma c’è uno dei miei fogli con i testi originali. Dagli anni Novanta in poi ho sempre usato il computer o l’iPhone quando scrivo testi, ma qui c’è una specie di pezzo scritto a mano che probabilmente avevo lasciato a Steven e lui ha conservato. E visto che siamo qui, ho trovato anche il vinile originale di Loveblows & Lovecries [Tim ci mostra il vinile].


Marco: Tim, hai detto che l’etichetta non voleva che compraste i diritti delle canzoni. Vale solo per Loveblows & Lovecries o anche per Flowermouth? [La domanda sorge perché, anche se non ci sono state nuove uscite per Loveblows & Lovecries, nel corso degli anni i no-man hanno effettivamente ristampato Flowermouth su KScope]
Tim: Possiedono tutto loro, dal 1990 al 1994, quindi Lovesighs, Loveblows & Lovecries e Flowermouth. Fortunatamente hanno voluto ripubblicare questo materiale e ci hanno  lasciato lavorare in collaborazione con loro, e penso che anche loro ne siano davvero contenti.

Marco: Hai già detto che le note di Housekeeping sono state scritte da Matt Hammers, un giovane autore che nel suo blog ‘All the Blue Changes’ ripercorre l’intera storia dei no-man intervistando i suoi protagonisti. Cosa ti ha colpito del suo lavoro, al punto da chiedergli di lavorare sul cofanetto?
Tim: Fondamentalmente, Matt mi ha contattato tramite il blog e sono rimasto colpito dalla sua ossessiva attenzione ai dettagli. È fantastico, perché abbiamo già avuto siti di fan di no-man in passato, penso che ci sia un sito polacco e anche Tony Kinson ha realizzato un eccellente sito per molti anni, quindi è stato bello vederne un altro. Era davvero ben progettato e Matt sembrava avere un entusiasmo genuino e una vera attenzione ai dettagli. Quindi in un certo senso ho ammirato la natura delle domande che mi stava ponendo e mi è sembrato che, poiché ha fatto così tanto lavoro sul sito, se lo meritasse. Era un modo per ringraziarlo per quello che ha fatto, perché amiamo la musica e, ovviamente, apprezziamo quando quell’amore viene mostrato da altre persone.

Marco: Soprattutto da parte dei giovani, credo. Quanto è importante per te aver raggiunto anche una generazione di ascoltatori più giovani?
Tim: Beh, è ​​fantastico. Voglio dire, in un certo senso non accade più così spesso come prima. Ricordo quando ascoltavo musica da adolescente. Gran parte di ciò che ascoltavo era stata composta da persone più giovani di me o di qualche anno più grandi di me, ma ero sempre interessato, diciamo, agli artisti jazz che avevano trenta o quaranta anni più di me o artisti rock che ne avevano venti più di me o giù di lì. Immagino che la mia generazione di ascoltatori sia molto consapevole delle generazioni di musicisti che ci hanno preceduto e di quelle successive. Per quanto la musica sia ormai più onnipresente di allora, non sembra esserci altrettanto ascolto intergenerazionale. È davvero importante e gratificante quando anche le persone più giovani capiscono o sentono questa musica. Il fatto che Joni Mitchell abbia vent’anni più di me non significa che non ascolti appassionatamente la sua musica, perché lo faccio.

Cristina: Secondo te, quali sono stati i passi più importanti che vi hanno permesso di firmare con la One Little Indian in quel periodo? Probabilmente la cover di ‘Colors’ di Donovan? E inoltre, perché avete scelto di reinterpretare questa canzone del 1965?
Tim: Credo tu abbia ragione, in sostanza; ne parlo un po’ nelle note di copertina di Swagger. Suonavamo a Londra. Entrambi eravamo incredibilmente ambiziosi. I no-man si stavano costruendo un pubblico. Suonavamo in locali decenti come il Marquee, molto rinomato, il 100 Club, il Rock Garden e il Borderline a Manchester; eravamo sugli stessi palchi in cui suonavano band allora emergenti come gli Oasis e i Blur. Stavamo creandoci un pubblico e la cosa positiva era che quando suonavamo, venivamo richiamati e avevamo più pubblico della volta precedente. Nonostante ciò, non stavamo ottenendo nulla, e io mi ero trasferito a Londra per essere più vicino a Steven in modo da poter prendere la band più seriamente. Nell’estate del 1990, nonostante le cose andassero bene per noi, non riuscivamo a ottenere la presenza ai concerti di giornalisti o di rappresentanti di case discografiche. Così sono tornato a casa, nel nord-ovest dell’Inghilterra, tra Manchester e Liverpool, e ho avuto modo di leggere che gli Happy Mondays avrebbero fatto una cover di ‘Colors’ di Donovan. Ne ho parlato con Steven, perché a entrambi piaceva molto Donovan, e avevamo già fatto almeno una sua cover, ‘River Song’, che è su Speak, e gli ho detto: “Perché non registriamo anche noi, per scherzo, ‘Colors’ e la pubblichiamo prima che lo facciano gli Happy Mondays?” Sono andato a casa sua e abbiamo fatto una versione davvero inaspettata, perché abbiamo usato un campionamento hip-hop. Abbiamo anche incorporato il violino di Ben e pensavamo che la combinazione fosse davvero fresca e unica. Tutto era nato casualmente, quindi eravamo davvero entusiasti di ciò che era successo. Ed è stato davvero quasi come un ultimo tentativo disperato. Non stavamo andando da nessuna parte. Abbiamo registrato la cover e abbiamo pensato: “Facciamo semplicemente un singolo da 7 pollici”. Sapevamo che avremmo perso molti soldi, ma lo abbiamo fatto comunque. Date le caratteristiche della musica dei no-man, che è seria, ho scritto un comunicato pubblicitario comico e, avendo studiato attentamente i giornalisti che pensavo ci potessero apprezzare, abbiamo inviato loro cinque copie del singolo. È stato incredibile. Steven mi ha chiamato e ha detto: “Sai che siamo il singolo della settimana su Melody Maker?”. E così, dal nulla, ci siamo ritrovati il singolo della settimana su Melody Maker, il singolo della settimana su Sounds, il singolo della settimana sul televideo di Channel 4 Television. Oggi sembra pazzesco, ma il televideo era una cosa importante all’epoca. Le battute sono andate abbastanza bene, ma la musica è piaciuta ancora di più e nel giro di un paio di settimane i nostri concerti erano affollati da personaggi delle case discografiche, giornalisti e così via. Era interamente merito di ‘Colors’. In particolare c’era un giornalista, un certo Chris Roberts, che adorava la band, e venne al concerto successivo, fu un sostenitore da allora ed è stato davvero importante per noi. Curiosamente, nello stesso periodo, i The Shamen ci sentirono e gli piacemmo molto, perciò furono così gentili da fare un remix per i no-man gratuitamente per poi raccomandarci alla loro etichetta discografica. Così, in un paio di mesi tutto si concretizzò per noi.

Marco: Loveblows & Lovecries contiene alcuni dei brani più accessibili della carriera della band e della tua, mantenendo inequivocabilmente lo “stile no-man”. Ascoltandoli ora, trent’anni dopo la sua pubblicazione, quali tratti pensi siano ancora evidenti nel vostro suono?
Tim: Penso che ci siano certe sequenze di accordi e texture verso cui entrambi gravitiamo. Ad esempio, avete ascoltato The Harmony Codex, che è probabilmente il mio album preferito di Steven e probabilmente quello che a tratti si è avvicinato di più ai no-man. Curiosamente, Steven ha mixato i miei album, ma il mio nuovo album, che uscirà l’anno prossimo, è il primo in cui ho scritto e suonato da solo l’intero lavoro. Ciò che è interessante è che alcuni brani potrebbero appartenere ai no-man. Quello che è stato strano è che Steven in quel momento lavorava sul suo album solista, io scrivevo da solo a mia volta, e ci sono brani in entrambi gli album che potrebbero appartenere ai no-man. C’è una sorta di dolcezza amara, nel descrivere ciò che tu chiami con la parola “accessibile”. Penso che il miglior materiale dei no-man, secondo me, riesca ad essere abbastanza emozionale, ma non travolgente. Ha una specie di accattivante sensibilità agrodolce che penso ci sia sia in The Harmony Codex, sia nel mio album, e so che c’è anche in Loveblows & Lovecries. Vi è una certa armonia ricca e un nucleo che credo continuiamo a cercare naturalmente, continuando a gravitare verso questa sensazione nella musica. Alcune delle cose migliori che facciamo come no-man sono tali perché mi piace la musica sperimentale e mi piace la musica accessibile, ma alla fine – e Steven la pensa allo stesso modo, forse è per questo che i no-man sono i no-man – mentre reagiamo entrambi ai King Crimson più estremi o a Stockhausen, allo stesso tempo reagiamo a un certo pop puro, che siano i Pet Shop Boys o i Beach Boys. Penso che ciò che i no-man riescono a fare sia quasi sintetizzare questi elementi in qualcosa di abbastanza ascoltabile e accessibile nonostante le influenze da entrambi i lati. Se da solo, a volte, posso oscillare tra il rumore estremo e il pop estremo, penso sempre che, quando scrivo con Steven come no-man, ci bilanciamo a vicenda per qualche motivo. Penso che questo sia ciò che contraddistingue i no-man, e penso che si senta. E non sto dicendo che siamo come questo artista o siamo bravi come quest’altro, ma penso che ci siano altri artisti che possiedono questa qualità, che io considero “mainstream creativo” e sono abbastanza accessibili ma non risparmiano sperimentazioni e non sono disonesti emotivamente. Dark Side of the Moon dei Pink Floyd e Hounds of Love di Kate Bush sono ottimi esempi di ciò; Laughing Stock dei Talk Talk, A Walk Across the Rooftops di The Blue Nile e più recentemente, penso, anche Bjørk ha fatto lo stesso, e persino gli Elbow sono riusciti a produrre musica che è bella, interessante e riesce anche a comunicare naturalmente. Penso e spero che questo sia quello che abbiamo fatto come no-man: sintetizzare in qualche modo l’estremo dei nostri gusti. E qua si torna alla conversazione che stavamo avendo prima sugli estremi della politica, se la musica può passare e essere una voce unica. Forse è questo che fa, è un dialogo che produce qualcosa che mette in comunicazione anziché allontanare.

Marco: Penso che un buon esempio di ciò che hai detto sia il brano che Jansen, Karn e Barbieri suonarono in Loveblows & Lovecries, ‘Sweetheart Raw’, con la lunga parte strumentale e stratificata alla fine.
Tim: Quel brano è stato interessante da scrivere, perché è iniziato come un paio di vecchie canzoni, quando non avevo ancora il mio studio casalingo e scrivevo un po’ alla chitarra. Quindi quel brano è iniziato come una sorta di pezzo acustico cantautorale a quattro accordi che ho suonato a Steven, e ciò che rimane di quello è il ritornello. Improvvisamente, qualcosa di diverso è capitato in studio quando abbiamo coinvolto Jansen, Karn e Barbieri. Ha preso completamente un’altra vita. Curiosamente, con quel brano, riesco anche a sentire alla fine, in quella sezione dove “va via” musicalmente, la nascita dei primi Porcupine Tree più space rock.

Marco: Concordo pienamente. E parlando di quelle tre persone estremamente importanti per te – Jansen, Barbieri e Karn – quando ho sentito che stava arrivando questa raccolta, ho pensato che potesse contenere una performance dal vivo con quella formazione. Quindi, questa è una domanda da fan puro: esiste davvero? Se sì, la sentiremo?
Tim: Purtroppo no, penso che le uniche cose di buona qualità di quel periodo siano un paio di registrazioni con altri musicisti dalle sessioni alla BBC. Ma, per qualche motivo, non abbiamo una registrazione live adeguata. L’unica cosa che abbiamo sono cassette davvero pessime registrate davanti al palco con la voce e la batteria distorta e che suonano orribili oltre ogni immaginazione. Che tristezza. Ma abbiamo potuto fare molte registrazioni in studio, quindi io e Steven abbiamo continuato a scrivere durante quel periodo. C’è molto che non è stato pubblicato, e potremmo pubblicare in qualche momento futuro alcuni dei brani: ‘Angel Gets Caught in the Beauty Trap’ ne è un esempio. Ci sono voluti quattro anni per completarla. È iniziata, fondamentalmente, con me e Steven con la sola sezione di apertura, probabilmente i primi due minuti e mezzo, che pensavamo funzionasse davvero bene. Poi Steven sentiva che potevamo portarla ancora più avanti, come sarebbe successo alcuni anni dopo con ‘Lighthouse’ [traccia di Returning Jesus, del 2001, i cui primi minuti furono composti durante le sessioni di scrittura di Flowermouth]. E così sono andato da lui una sera e abbiamo ampliato il demo di due minuti e mezzo fino a qualcosa come venti minuti, forse anche più lungo, più elettronico e minimalista della versione che è stata pubblicata. Poi, occasionalmente, durante quel periodo prima di aver firmato il contratto, la suonavamo dal vivo. Quindi ci sono delle registrazioni dal vivo molto belle di quel brano, del 1989, che per qualche motivo sono ben registrate, a differenza delle cose con Jansen, Barbieri e Karn. Inoltre, ci sono tutte le versioni: c’è una versione di otto minuti del 1992 che ho sentito di recente, che non ha Robert Fripp e Ian Carr ma funziona comunque molto bene; c’è una fantastica versione di cinque minuti e mezzo, che ho quasi pensato di includere in Swagger, perché cattura questo periodo tra le fasi. Fondamentalmente si tratta di me e Steven, in una stanza, fortunatamente ben microfonata, mentre la stiamo suonando per la prima volta a Ben. La parte iniziale è la sezione della canzone che abbiamo composto, che si sviluppa e Ben sta improvvisando e fa una bellissima parte. Verso la fine io improvviso e canto in modo molto più aggressivo, quindi finisce quasi in uno stile dinamico alla Peter Hammill o Michael Gira degli Swans.

Marco: Penso che ‘Angel Gets Caught..’ sia nella lista ristretta delle mie canzoni preferite di tutti i tempi. Riassume abbastanza bene come canzone quello che hai detto prima: è una canzone di 11 minuti, ma è piuttosto intima, abbastanza accessibile in un certo senso, e naturalmente c’è il lavoro di tutte le altre persone coinvolte che è stato incredibile.
Cristina: Ho qualcos’altro da dire su ‘Angel Gets Caught…’. Mi piace, a volte, pensare a quale sia il momento perfetto in una canzone che sto ascoltando, anche se è lunga come questa. In questa, per me, accade al terzo minuto, quando la tromba di Ian Carr entra in scena. Sono rimasta rapita da questo momento perfetto, bello e sublime.
Tim: Penso che tu abbia ragione, con alcune canzoni ci sono momenti perfetti in cui può essere solo una nota della tromba o una nota della chitarra. Anche io sono un grande fan del brano, e le performance di tutti sono state superlative. Mi piace molto anche ‘Simple’ da Flowermouth, in parte perché inizia quasi come una canzone pop innocente e semplice, ma i testi diventano più complessi e la musica si fa più complicata man mano che procede. Quando eravamo in studio a produrre quella canzone, Robert Fripp stava creando frammenti di magia qua e là e con quel brano si è proprio perso ed ha costruito quasi una sinfonia di chitarre soundscape su tutto il pezzo, che è poi come è finito il brano sul disco. Quindi è stato un tipo di magia che è accaduta in tempo reale. Ed è stato anche fantastico lavorare con persone come Mel Collins e Ian Carr. E, naturalmente, percepisco quel momento anche con la musica degli altri, quando ti piace la canzone e improvvisamente, potrebbe essere solo un particolare sax, tromba o chitarra che colpisce un’armonia e ti porta ad amare la canzone fino a farla diventare una delle tue canzoni preferite di tutti i tempi, perché quel momento ti riempie di qualcosa.

Cristina: Una cosa affascinante su Flowermouth è come sia stato respinto dall’etichetta nonostante la partecipazione di tutte le leggende della musica che abbiamo già menzionato. L’idea che queste leggende supportassero il vostro modus operandi è stata importante nel farvi continuare sulla vostra strada senza tenere conto delle richieste dell’etichetta One Little Indian?
Tim: Come ho detto, nel primo album giravamo per grandi studi, ma poi abbiamo capito che spesso preferivamo quello che avevamo fatto nel nostro studio. Con Flowermouth, abbiamo pensato: “Potremmo non avere mai più un’altra opportunità per fare un disco, quindi facciamolo il migliore, il più grande, il più bello possibile”. In altre parole: “Lavoriamo con le persone con cui vogliamo lavorare, facciamo la musica che vogliamo”. Di tanto in tanto, affittavamo uno studio esterno solo per registrare Mel Collins o Ian Carr, poiché era più facile per loro, ma è stato quasi esclusivamente fatto allo studio no-man’s land. L’etichetta non era coinvolta, mentre per il primo album venivano alle sessioni di registrazione e ci dicevano cosa pensavano sarebbe dovuto accadere, che li ignorassimo o meno. Per questo album abbiamo completamente ignorato tutti e abbiamo prodotto ciò che volevamo produrre. Avevamo un budget leggermente più piccolo per questo e l’abbiamo speso tutto nel nostro studio casalingo. Abbiamo comprato ottimi microfoni, un grande registratore ADAT; abbiamo pagato Robert Fripp e Ian Carr. Abbiamo pensato: “È qui che andrà il denaro questa volta, non in un grande studio”. Poi noi e il nostro manager – avevamo il manager dei Talk Talk in quel momento – abbiamo presentato l’album all’etichetta, alla quale è piaciuto molto il brano ‘Watching Over Me’, che è un altro di quei pezzi che ho portato come un semplice strimpellare acustico, come ‘Teardrop Fall’, in realtà. Ci sarebbe dovuto essere un singolo e un video per ‘Watching Over Me’, Mike Bennion aveva già fatto una sceneggiatura apposita. Poi il nostro manager è andato in vacanza e una volta che l’etichetta ha metabolizzato l’album – specialmente gli undici minuti di ‘Angel Gets Caught…’ – hanno pensato: “Ok, avete avuto la possibilità di essere una band pop e avere successo. Non avrete mai successo con questo” e per risparmiare sul budget hanno ritirato l’idea del singolo e del video. Ironia della sorte, Mike ha poi utilizzato l’idea per la BBC 2 Television. Probabilmente l’avete vista anche voi sulla TV italiana, a volte erano molto creativi, con animazioni intelligenti tra i programmi. Quindi Mike ha riutilizzato le sue sceneggiature, che aveva scritto per il video, e alla fine è diventata un’idea premiata. Una grande ironia è che, in parte a causa della qualità della musica, in parte a causa della qualità delle persone con cui stavamo lavorando, l’album ha venduto sei volte di più del primo album ed è andato abbastanza bene seppur con un minor budget rispetto al primo album. Quindi, alla fine fu un bel risultato e ci ha dato il coraggio di pensare “Ok, cosa vogliamo fare ora?”. Allo stesso tempo pensammo: “Se avessero fatto il video, se avessero fatto la promozione, se avessero creduto in questo album come noi ci credevamo, avrebbe potuto vendere dieci o venti volte di più, non solo sei”. E, contrariamente alla credenza popolare, non siamo mai stati abbandonati dalla One Little Indian. Volevano tenerci per Wild Opera, infatti c’è una cassetta white label di Wild Opera su One Little Indian. Il motivo per cui non siamo rimasti con loro è che il budget stava diminuendo sempre di più e, fondamentalmente, hanno ammesso che lo avrebbero soltanto pubblicato. Non avevano necessariamente entusiasmo per la musica, perché ancora una volta, ironicamente, avevamo prodotto questo sontuoso album che aveva fatto meglio del previsto e con cosa avremmo dovuto farlo succedere? Un disco davvero sperimentale, pieno di dissonanze e ritmi amari. Credo che non lo avrebbero promosso correttamente. Quindi siamo tornati alle basi e abbiamo firmato con una piccola etichetta indie che aveva già pubblicato delle band che ci piacevano, come Spaceman 3 e Bark Psychosis, e così via.

Parte dello storyboard del video mai realizzato per “Watching Over Me” – Thank You to Matt Hammers for the picture. https://carolinaskeletons.wordpress.com/

Marco: Rimanendo alle sessioni di Flowermouth, com’è stato avere Robert Fripp a suonare la chitarra nella camera da letto di Steven?
Tim: È stato incredibile. Penseresti che mi sia abituato a questo, perché ho lavorato con persone che ammiro. Da adolescente amavo  Japan, i Talk Talk, i King Crimson, i Pink Floyd. E ci siamo ritrovati con il manager dei Talk Talk, a lavorare con Robert Fripp, Mel Collins e tante persone che ho amato crescendo. Era emozionante allora, e deve rimanere qualcosa di eccitante. Non devi essere cinico, ma non lasciarti neanche travolgere. La cosa che penso che a Robert piacesse di Steven e di me era che sapevamo cosa volevamo. Avevamo opinioni altrettanto forti quanto le sue, e scherzavamo. Quindi, da un lato, eravamo consapevoli di quanto fosse speciale, dall’altro non eravamo sopraffatti dalla sua presenza. Ma rimane comunque una grande emozione, perché ancora oggi lavoro con diversi artisti che ascoltavo da giovane. Ho lavorato con Kevin Godley dei Tennessee e Andy Partridge degli XTC ed è stato incredibile. Di recente ho lavorato un po’ con Julianne Regan degli All About Eve. È una cantante straordinaria e produsse un bellissimo singolo che ricordo di aver comprato quando ero più giovane. E mentre lavoriamo alla pari come creativi, penso ancora: “Dio, non è fantastico che sto lavorando con Julianne?” Ho lavorato con Robert Fripp in diverse occasioni perché è un musicista notevole, giustamente leggendario. Quello che è stato grande di lui e di Mel Collins è che, un po’ come Ben Coleman, li abbiamo lasciati liberi sulla musica. Io e Steven avevamo un’idea molto chiara di quello che volevamo. Il modo in cui lavoro con questi musicisti è che dico loro: “Questo è quello che voglio, dammi quello”; poi: “Dammi quello che pensi che questa traccia abbia bisogno”; e magari: “Improvvisa per divertimento”. E da questi tre approcci ottieni qualcosa. Ed è stato così che abbiamo lavorato con Fripp in particolare, ma anche con Mel Collins. La musica sgorgava da loro. Li mettevamo in qualsiasi situazione e andava bene. Subito suonavano intorno al brano. Non c’era imbarazzo. Ci davano quello che volevamo e poi suonavano in uno stile libero. È stata un’esperienza fantastica e molto speciale, e continua ad esserlo.

Cristina: Ci piacerebbe conoscere il processo creativo dietro alle canzoni, specialmente per quanto riguarda i testi. In questo processo trai ispirazione in qualche modo dalla letteratura? Qual è l’ultimo romanzo che hai letto e che ti ha particolarmente colpito?
Tim: Per quanto riguarda i testi, è una combinazione. Scrivo costantemente testi. Scrivo costantemente frasi, titoli, cose che mi vengono in mente e a volte suggeriscono sequenze intere. Ma tendo anche a scrivere le melodie quando compongo una canzone, che sia con Steven o da solo. La melodia e l’emozione devono venire prima, quindi, quasi come un poeta lavora entro il pentametro giambico, io lavoro entro la melodia che ho scritto. I testi tendono ad essere una combinazione di cose da cui attingo da anni e che improvvisamente scrivo sulle mie melodie e qualcosa ti afferra e sei catturato.
Per quanto riguarda “altri testi”, amo la letteratura, leggo ancora poesie e romanzi. Un libro che ho trovato molto interessante ed emozionante di recente è Termush di Sven Holm. Al momento sto rileggendo un libro di Kurt Vonnegut. Non è uno dei suoi migliori, ma ho comprato una nuova edizione economica perché la mia copia personale era completamente logora, e lo sto rileggendo per giustificare il suo posto nella mia collezione di libri. Sto anche leggendo un nuovo libro di Samantha Harvey chiamato Orbital. È quasi un resoconto poetico degli astronauti su una stazione spaziale, osservando la Terra e passando attraverso il processo di essere umani, le loro emozioni e i loro pensieri della vita sulla Terra. Ho sempre ammirato gli scrittori e intendo chiunque, da T.S. Elliot, Philip Larkin e Carol Pinter a Kurt Vonnegut e Raymond Carver. E in questo conto anche i parolieri. Joni Mitchell è una delle poche paroliere che è riuscita a trasmettere idee complesse ed emozioni ricche con un linguaggio abbastanza semplice ma poetico. Amo questa capacità e abilità di dire molto con pochissime parole. Penso che sia molto facile essere davvero pomposi, esagerati e grandemente eloquenti e usare polisillabi dopo polisillabi, ma penso che sia davvero difficile dire qualcosa di piuttosto profondo e significativo con pochissime parole. E certamente, per quanto riguarda i poeti britannici, Philip Larkin è uno di quelli. Ha un tale equilibrio, eppure potenza ed eleganza. In realtà c’è un poeta italiano, Giuseppe Ungaretti, che credo abbia una capacità simile di scrivere poesie totalmente belle e di farti andare in così tante direzioni con un linguaggio davvero abbastanza semplice. Ci sono scrittori che mi hanno influenzato nel corso degli anni e che continuo a leggere e che mi colpiscono ancora.

Cristina: Secondo te, non solo come compositore ma anche come ascoltatore di musica, perché una canzone può essere più apprezzata dopo diversi ascolti piuttosto che all’impatto iniziale? C’è una spiegazione “tecnica” o è semplicemente dovuto all’approccio individuale nei confronti di una canzone?
Tim: Penso che sia difficile e sì, molte delle cose che mi piacciono e amo non mi piacevano inizialmente, ma poi hanno iniziato a piacermi e mi hanno catturato. Penso che una delle ragioni per cui Dark Side of the Moon, Hejira di Joni Mitchell o i Beatles continuano a influenzare tanto sia perché ci sono tanti dettagli nei loro arrangiamenti, così tante armonie inaspettate e insolite, anche se a volte usavano solo quattro tracce. Come hai notato con ‘Angel Gets Caught…’, con Ian Carr, e il modo in cui suona “contro” gli altri strumenti; ma ci sono molte altre informazioni complesse in pezzi come questo, e forse lo amiamo abbastanza da ascoltarlo più e più volte. E poi, al cinquantesimo ascolto, pensiamo: “Oh, quel basso fa qualcosa che sorprende l’orecchio!” o “C’è un’armonia vocale che non avevo notato prima!”. Quindi penso che ciò abbia a che fare con il livello inaspettato di dettaglio e la natura emotiva umana, perché penso che quando si ascolta la moderna musica pop auto-tune delle classifiche è difficile provare un senso sorpresa, poiché ogni sorpresa è stata intenzionalmente eliminata, mentre in molta della musica di artisti come i Mercury Rev, i Flaming Lips, o Bjørk c’è ancora una qualità inaspettata nel compositore, ci sono così tanti dettagli nella produzione, che penso che ciò che emani è la fragilità umana, la natura del dettaglio e forse c’è anche un particolare sentimento che stiamo cercando che si riaccende quando li ascoltiamo.
Cristina: Sì, e ascoltare Flowermouth adesso è molto diverso che ascoltarlo vent’anni fa.

Marco: Tornando ai no-man, pensate che pubblicherete altri cofanetti o altro materiale inedito?
Tim: Spero che Swagger segni l’inizio di una serie di uscite d’archivio. Abbiamo sicuramente abbastanza materiale da giustificarle. E io e Steven parliamo sempre di registrare qualcosa insieme, quindi spero che ciò accada di nuovo. Più recentemente abbiamo parlato di registrare con il violinista originale, Ben, perché dopo così tanto tempo penso che potremmo riconquistare lo spirito di allora e farci qualcosa di diverso.

Marco: Ben ha suonato sia nel tuo ultimo album che in quello di Steven, giusto?
Tim: Sì, perché mi sono perso alcuni dei contributi che ha dato alla musica [dei vecchi no-man], e penso che ‘Dark Nevada Dream’ da Butterfly Mind [un brano dall’ultimo disco solista di Tim, in cui Ben suona il violino, n.d.r.] fosse quasi una direzione che i no-man avrebbero potuto prendere.

Marco: Quindi pubblicazioni d’archivio e forse nuova musica. Questa domanda in realtà viene da Evaristo, il fondatore del fan-club, che non ha potuto unirsi a noi oggi. Era al concerto alla Bush Hall nel 2008, quello che hai registrato per il DVD Mixtaped, ed è con quello che io ho scoperto la band. Chiede se c’è qualche possibilità di vedervi esibire di nuovo dal vivo qualche volta.
Tim: Di nuovo, io lo spero, ho suggerito un paio di cose a Steven, perché penso che lui sia stranamente meno entusiasta dell’idea di un tour adesso di quanto lo sia io. Mi esibirò in un paio di concerti in Inghilterra a gennaio, uno a Londra e uno nelle Midlands, a Kidderminster, e sul set proporrò per metà del materiale dei no-man e per l’altra metà dei miei lavori da solista. Penso ancora che ci sia molta vita in quel materiale dal vivo, e mi sento stranamente ancora più a mio agio nel produrre quella musica dal vivo ora di quanto non abbia mai fatto tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, quando avevamo quella formazione dei no-man a tre. Quindi ci spero, perché penso che l’ultima volta che abbiamo suonato insieme nel 2012 sia stato fantastico e non è stata una cosa ripetitiva. L’elemento veramente positivo dei no-man – e, spero, della musica che io e Steven produciamo – è che, anche se vogliamo essere fedeli al cento per cento all’emozione del materiale, non eseguiremo mai versioni fedeli nota per nota. La musica che suoniamo deve dare la sensazione di ciò che proviamo adesso ed evolvere con i nostri gusti. Il concerto a Bush Hall sembrava molto “in divenire” rispetto a quello che stavamo facendo nel 2011 e nel 2012, come se la band si fosse evoluta e noi ci fossimo evoluti come artisti, e la musica stesse assumendo una nuova vita. Sarebbe fantastico farlo di nuovo dal vivo.

Marco: Ti ho visto suonare con la tua band solista nel 2019 a Camden, dato che in quel periodo vivevo nel Regno Unito. È stata una serata davvero bella e i brani dei no-man erano davvero belli da ascoltare. Spero di vederti di nuovo sul palco, con Steven ed eventualmente Ben.
Tim: Beh, sai, l’ultima volta che ci siamo ritrovati insieme a suonare dal vivo è stato perché la mia band conosceva così tanto materiale dei no-man che Steven ha potuto unirsi a noi direttamente. Ed è lo stesso adesso, anche se ora sono con una band completamente diversa. Onestamente direi che, musicalmente, potrebbe essere la migliore band dal vivo con cui abbia mai suonato, e quello che stanno facendo con il materiale dei no-man lo sta reindirizzando e rimodellando. Penso che a Steven piacerebbe molto: verrà a vedere il concerto di Londra, e vedremo, forse avrà voglia di salire sul palco con noi, perché è quello che è già successo in passato. Quindi non è impossibile.

Cristina: E per quanto riguarda i concerti, se non sbaglio hai partecipato al concerto ‘Ships’ di Brian Eno a Londra, lo scorso ottobre. Ho assistito alla data di apertura a Venezia. Sono solo curiosa di chiederti cosa ne pensi dell’intero progetto e cosa pensi del contributo di Peter Chilver, che ha suonato le tastiere.
Tim: È stato fantastico, mi è davvero piaciuto. Ovviamente sono incredibilmente felice che Peter sia coinvolto in questo progetto. Sto ancora lavorando con Peter, è un musicista meraviglioso e un musicista molto sensibile e merita questo profilo. È stato bellissimo vedere qualcuno che meritava davvero di salire su quel palco. Nel complesso, è stato un concerto fantastico. Quello che ritengo interessante è che Brian ha settant’anni e avrebbe potuto suonare qualsiasi cosa dal suo passato, ma sta facendo qualcosa di piuttosto nuovo. Non era un concerto ambient scontato, era quasi, a mio avviso, come se Brian Eno si reinventasse come compositore classico moderno. L’ho ascoltato nello stesso modo in cui ascolto persone come John Luther Adams o Philip Glass. È stata una bellissima esibizione sinfonica d’atmosfera con molti musicisti che lavoravano e quasi ballavano, persino il direttore d’orchestra Kristjan Järvi. Mi è davvero piaciuto. È stato bello anche per me, perché mentre stavo camminando verso il teatro ho incontrato Richard Barbieri e ho finito per bere un drink con lui e farci una lunga chiacchierata per la prima volta da molto tempo.

Marco: Per concludere, anche se ne hai già parlato, quali sono i tuoi prossimi progetti? Un nuovo disco, alcuni live… e cos’altro?
Tim: Gli eventi più immediati in programma sono un paio di esibizioni dal vivo a gennaio. Ho anche fatto alcune sessioni per altri musicisti, incluso un artista italiano chiamato Stefano Panunzi, che fa parte della band Fjieri. Ho inciso delle  parti vocali per lui, e un’altra per una band norvegese chiamata Laughing Stock, ed è stata davvero una bella sessione. Hanno un grande trombettista, norvegese. Sono molto vicino a finire il mio prossimo album solista, che, come ho detto, per la prima volta è interamente mio, quindi è molto diverso. Durerà circa 41 minuti con circa 17 tracce. Un lavoro davvero completamente diverso. Mi è piaciuto molto crearlo, e Steven, che lo ha mixato, è stato davvero incoraggiante e pensa che sia il mio miglior album, il che è fantastico. Ho anche fatto un paio di cose con Julianne Regan, che sono splendide. È una musicista molto creativa oltre che una grande cantante. Quindi ci sono parecchie cose che stanno accadendo o che stanno per essere pubblicate. E abbiamo anche discusso dell’idea di fare dal vivo The Album Years [il podcast creato da lui e da Steven Wilson, in cui trattano anno per anno le uscite musicali del passato, n.d.r.]. Abbiamo appena lanciato i nuovi episodi e ce ne sono molti altri in arrivo. Li abbiamo registrati per la prima volta faccia a faccia. Finalmente ci siamo incontrati nel post Covid e abbiamo parlato così a lungo che abbiamo prodotto dodici episodi in due giorni. E ci siamo visti di nuovo circa quattro giorni fa registrando due speciali di Natale. La Virgin Records sta ora promuovendo il podcast e potrebbe esserne coinvolta. Ci hanno parlato della possibilità di fare esibizioni dal vivo in cui discutiamo degli anni del passato [musicalmente parlando, n.d.r.] davanti al pubblico, o addirittura di intervistare alcune delle persone di cui discutiamo gli album. Quindi potrebbe essere molto divertente.

Marco: Grazie mille, Tim. È stato davvero bello vederti e parlare di tutto questo. Speriamo che ti sia piaciuta questa serata con noi e speriamo di rivederti presto! Ovviamente non vediamo l’ora di ricevere il box set e Swagger!
Tim: Beh, se riesci a farmi venire in Italia, ovviamente! Comunque grazie mille per le domande.

Cristina: Grazie, Tim, e buon Natale! Ciao!
Tim: Oh sì, buon Natale. Ci vediamo.

ENGLISH VERSION

Cristina: As is known, the name no-man derives from a famous line taken from the poem entitled “No Man is an Island”, by the English poet and essayist John Donne, written in 1624, which unfortunately is very current and returns cyclically as an apt quote about the present socio-political situations. In June 2016, PJ Harvey, as a guest at the Dutch festival “Down The Rabbit Hole”, in the middle of her performance, recited Donne’s poem in response to the outcome of the Brexit referendum. No-man therefore embodies an absolutely emblematic meaning, in our opinion, of the historical times we are going through, sadly confirming that the division among human beings is increasingly clear and evident. We ask you whether, in your opinion, you still believe that music can make each of us less of an island and in what way?
Tim: You’ve started with a serious question. I think you’re right. We live in increasingly divisive times, and I don’t think it’s just Brexit or Trump. There are many other issues, the Gaza and Israeli conflict and so on. It seems it’s very difficult to have, in this era of social media in particular, an articulate, reasoned, balanced discourse where people can listen. Each side of an argument thinks their position is well phrased. I don’t necessarily like being divisive, but I see people on both sides behaving appallingly and writing incredibly aggressively. For example, there is a very respected Left wing journalist – who I like but won’t mention – that regularly makes one line insults about politicians, with which all they do is fuel the anger, fuel the prejudice, whereas actually there should be a detailed breakdown of why this is a wrong attitude to have. I think that is because of the nature of social media. For whatever reason, it seems that reasonable discourse on either side doesn’t seem possible and doesn’t seem welcome. And, actually, I don’t blame people for not trying because, when they try, they are battered down by their own side for not stressing it as strongly as they should, and they’re battered down by the opposition from having the temerity of disagreeing. And so, I think that the nature of political argument has become almost impossible in this day and age. Relating to that, in some ways, I’ve sometimes taken this option of retreating into beauty. There’s an early no-man lyric which ties in with the box set, it’s a B-side on Lovesighs written between 1990 and 1991, which is chronicling the urban chaos outside of the room that this person’s inhabiting and because he feels his voice is so small he’s retreating into art: music, literature, film. I’ve got to say that sometimes I’m guilty of that now, that I feel that my voice carries so little weight, and because I don’t want to be a part of that vicious disagreement on either side, in some ways I do lose myself in the beauty of music or the fantasy of a book, partly to escape it. So in some ways I really do hope that music, literature and film can still be sort of a healing that join people together. I’m really lucky that when I do meet fans at gigs or when I talk to them online, generally speaking, we don’t get into political debates, but we do get into detailed and enthusiastic discussions about what songs mean to us or what art can mean to us. So in some ways we’re kind of bypassing the issues, but I hope that it’s a unifying factor despite the world that we live in. The only other thing I’d say to carry on from that is that, of course, we must live as no-man is an island, we cannot live without being aware of the political chaos around us, so I kind of find that lyrically – even when I’m not aware of it – these things seep through into the songs. You cannot help, as a human being in 2023, to not be affected by the inhumanity you’re seeing around you.
Cristina: I agree completely with you and I think Marco does too. For the very fact that we are here we believe that music can still make a difference, somehow.

Marco: And speaking of art in all forms, the photo on the cover of the Housekeeping box set is very beautiful, in line with the style of the no-man albums, but at the same time it feels like something new. I guess that’s Carl Glover’s work, but I wanted to ask you how you guys come up with that.
Tim: It’s interesting, because it varies, with no-man covers. With some of them, I’ve had a very strong idea of the cover. I knew exactly what I wanted for the covers of Flowermouth, Returning Jesus and Dry Cleaning Ray and Carl Glover made that a reality. But then, for example, when I described the concept behind Together We’re Stranger, he came up with that image himself, and that’s one of my favorite no-man sleeves, as it perfectly encapsulates the lyrics and the mood, while being this kind of quite fresh and abstract view of it as well.
Then again, both me and Steven knew what we wanted for Love You to Bits. And that was interesting, because it actually took 200 attempts to get the cover we wanted. I don’t think Carl’s ever taken longer, and what was odd about that is that we very specifically knew what we wanted. I think Carl has probably produced lots of covers for The Pineapple Thief and Marillion out of the reject pile from Love You to Bits, because they were really good covers. It was just not what we thought, articulated to the music or the lyrics.
For Housekeeping Carl had my sleeve notes, the sleeve notes from Matt Hammers, the track listing and the title. So he came up with a series of variations, and this time I think rather than 200 he had about 18. And for one of them, immediately both myself and Steven thought: “Okay, there’s a kind of haunting quality, that sort of reflects the feeling of some of the early no-man work”. So it developed from there, really. We found one image that we liked and that led to several other images and then the box set, which of course has a lot of period photographs and ticket stubs and posters and so on. So, this one came more from Carl’s starting point than our starting point, but we all contributed to the way in which the box set as a whole looks.

 

Cristina: In addition to the Housekeeping box set, Swagger is also being released. Can you tell us anything about it? Why release both products at the same time? Is there a saving if purchased together?
Tim: We had finished the box set a very long time ago, probably about a year and a half, two years ago. The artwork, the box set, the mastering, everything was ready, but it was put on hold because Steven was releasing his albums and then the Porcupine Tree one. What was lovely about Swagger is that we were not expecting this. It happened totally spontaneously, probably only three months ago, when I listened to some pieces from this period. I spoke to Steven and said “See, these are really quite good”. And then Steven, over the next couple of days, said: “You know, we did this at the same time, and this at the same time”, and he unearthed about 40, 50 minutes of music, some of which I had genuinely forgotten. I mean, there was one piece of music on this which is an improvisation between myself and Steven, directly on cassette, and it was lovely and I thought: “How did we do that? When did we do that?” And then there was the stuff from Swagger. So all of a sudden both of us were relistening pieces of music that we’d written during a sort of year period that we’ve never really documented, because, when no-man first started, it was very eclectic. Steven and I had very, very diverse tastes, and the music would go from really short, hard-hitting pieces with almost a kind of a funk or post-punk element, to seven and a half minute epic ballads, to pieces with almost a progressive or psychedelic quality or to the pieces that are on Speak.
The album Speak is something we were obsessed with, which is a kind of a timeless, almost singer-songwriter territory. We both loved a lot of singer-songwriters from the 60s and early 70s, people like Nick Drake, John Martin, Sandy Denny, Nico, and we also loved a lot of the music from that time when we first got together, with artists like the Cocteau Twins and Dead Can Dance who were producing this really quite beautiful, almost timeless music. And so Speak was, perhaps, hopefully, our distinctive version of that. But during that time we were still writing really vicious rock songs and epic ballads.
We did ‘Colors’ in 1990, got signed and from there on it’s all well documented. But what isn’t documented is that period between Speak and ‘Colors’, when we were making music for the purpose of playing live. We were playing in London and Manchester, and although we weren’t signed to a record company, we were building up an audience and getting people who came to see us as a live band. We were writing music for those live performances, and they were really exciting. I’ve got to say, I still miss it now. It was me, Steven, and Ben, and the three of us were almost like three front people at the stage, in quite dynamic live sets. We were working with backing tapes, but it was very live and very spontaneous. So Swagger captures the music that we wrote and recorded during that period, which has never really been released properly. It goes from the summer of 1989 to the summer of 1990, right before ‘Colors’, which is very different. Swagger really captures a very unusual and unique side of the band. Most of it is in a more electronic mode, but it is more rock influenced as well, because of the live element.
What’s interesting is that it came together and it was almost like the first album we never released, because it really works for a coherent album statement, in the same way as Speak. We’ve probably still got another hour or so material, which is quite different from that. It was really exciting, because it came together really quickly. We thought: “God, this is really quite good!” and that’s why we are releasing it. Swagger is being released on The Burning Shed label, as a kind of homemade release, while the box set is released on the original label that released that material, One Little Indian. They came together at two different times, and of course it was really nice to put something together so quickly. We both felt really excited and wrote sleeve notes, so what was nice is that it was created in the way the music was as well. It was quite rapid, unlike my explanation!

 

Marco: What about the Housekeeping box set? What is included on it, besides the band’s first two albums Loveblows & Lovecries and Flowermouth?
Tim: You’ve got the Lovesighs material, which was the singles and B-sides from the early period, and quite a number of alternate mixes from the Loveblows & Lovecries sessions. I’m still really pleased with that record, I have always liked it, and so does Steven. Because it was never reissued, people always assumed we didn’t like it, but we did. The story behind the album is a rare one. We’d finished the album in 1992, and I’ve got a white label version with a finished sleeve only Steven and myself have. It’s the original version of the album, and it’s actually 50% different from the one that got eventually released. It had a longer version of ‘Sweetheart Raw’, a much longer version of ‘Tulip’ and a completely different mix of some of the songs. When we were recording it, we went into a lot of the biggest studios in Britain. We were using very big studios with big engineers, people that were working with The Shamen and Bjørk, who were on our label at the time. And interestingly, that version of the album got rejected. The record company said it was not going to have a hit single on it. And we were obviously a little annoyed, initially, but we went back and we recorded a few more pieces. They really liked ‘Only Baby’, which we did too, although it’s one of the few things we have written thinking of writing a song as a single. We refashioned the album around ‘Only Baby’: we created an orchestral introduction for that and we rethought the rest of the album. So we dropped a couple of pieces, brought in some others, and we had the confidence then of our own opinions. So on the original version, for example, we have the ‘Painting Paradise’ version that we’d recorded, in a huge studio with all of the huge reverbs. We listened to it and we thought: “That’s just not us” and so we went with the demo that we’d recorded in Steven’s studio. If you look at the credits on the finished version of Loveblows & Lovecries, quite a few of those tracks are recorded in our home studio. So, in the end, the second version of the album that came out in the summer of 1993 is the one we thought was better. We do include in this box set a few of the alternative mixes from the first version, so people can decide whether we were mad or not. Then there are the BBC radio sessions we did, both acoustic and electric. There is Colin Edwin playing double bass on five or six tracks and Chris Maitland on one. Of course Chris is a great drummer, but all he is doing on this live acoustic radio session is hitting a cymbal [Laughs], and if he gets out of line, we point at him and tell him off. There is also a recording from ‘Sweetheart Raw’ from BBC Radio Five, which has never been heard before. We did it with the drummer [Chris Baker] from a band called Slab, that both Steven and myself liked. I’d never even heard it until we were doing the box set. And then, within the package, you get an essay from Matt Hammers, a young American who does a no-man fan site, an essay from me, a small essay from Steven, and quite a lot of photographs from the period as well.


Cristina: Our next question is actually about the booklet, it seems really interesting. How big is it?
Tim: It is a 10×10 inches box set, with five discs and 64 pages. Basically, we tried to buy the music back from the record label, but they did not want us to do that, so in the end we worked in association with them to produce the best and most beautiful thing we could. The booklet contains anything from early reviews to nice examples of tape boxes and, I don’t know how they got it, but there’s one of my original lyric sheets. From the nineties on, I write on my computer or my iPhone when I’m writing lyrics or text, and this actually has a kind of handwritten piece which probably I had left at Steven’s and he kept it. And as you are here, I found also the original Loveblows & Lovecries vinyl with the white sleeve [Tim shows us the vinyl].


Marco: Tim, you said that the label didn’t want you to buy the rights for the songs. Is it just for Loveblows & Lovecries or for Flowermouth, too? [The question arises as, while there haven’t been new releases for L&L, over the years no-man has actually reissued Flowermouth on KScope]
Tim: They own all of it, 1990 to 1994, so Lovesighs, Loveblows & Lovecries and Floweromuth. Luckily they did want to re-release this material and said we work in association with them, and I think they’re really pleased with it as well.

 

Marco: You already mentioned that the Housekeeping notes are written by Matt Hammers, a young author who in his blog ‘All the Blue Changes’ retraces the entire history of no-man by interviewing its protagonists. What impressed you about his work, to the point of asking him to work on the box set?
Tim: Basically, Matt approached me through the blog and I was impressed with his obsessive attention to detail. It’s great, because we’ve had no-man fan sites before, I think there’s a Polish no-man fan site and Tony Kinson did an excellent no-man fan site for many years, so it was lovely to see another one. It was really nicely designed and Matt seemed to have genuine enthusiasm and a real sort of attention to detail. So I sort of admired the nature of the questions he was asking me and it just felt to me that because he has done so much work on the site you know, he kind of deserved it. It was a way of thanking him for doing what he has done because we do love the music and, of course, we appreciate when that love is shown by other people.


Marco: Especially from young people, I think. How important is it for you to have also reached a younger generation of listeners?
Tim: Well, it’s fantastic. It doesn’t happen as often as it used to, in a way. I certainly remember when I was listening to music when I was in my teens. A lot of the music I would listen to was made by people who were younger than me or just a few years older than me, but I was always interested in, let’s say, jazz artists who were 30, 40 years older than me, or rock artists who were 20 years older than me and so on. I guess, for my generation of music fans, we were very well aware of the generations that came before us and the generations afterwards. And despite the fact that music is more ubiquitous now, there doesn’t seem to be quite as much cross generational listening. It’s really important, you know, and really gratifying when people who are younger also understand or feel this music, you know. The fact that Jony Mitchell is twenty years older than me doesn’t mean that I don’t feel her music intensely, because I do.

 

No-man live at the marqueeCristina: In your opinion, what were the most important steps that allowed you to get signed to one little Indian at that time? Probably the cover of Donovan’s ‘Colors’? And also, why did you choose to cover this song from 1965?
Tim: I think you’re right, basically, I sort of discuss this in the sleeve notes to Swagger actually. We were playing in London. We were both incredibly ambitious. And no-man were building up an audience. We were playing decent venues like the Marquee, which is quite renowned, the 100 Club, the Rock Garden and the Borderline in Manchester, we were on the same sort of bills that up and coming bands like Oasis and Blur also played in. We were building up an audience, and the good thing was that when we played, we’d be booked back and we’d have more people the next time. Despite that, we were getting nowhere, and I had moved to London to be closer to Steven so that we could take the band more seriously. By the summer of 1990, despite the things that were going well for us, we couldn’t get a journalist or a person from a record company to go to the gigs. So I moved back home to the northwest of England, sort of in between Manchester and Liverpool, and I just read that the Happy Mondays were going to do a cover version of Donovan’s Colors. I spoke to Steven about it, because both of us really liked Donovan, and we’d already done at least one Donovan cover, River Song, which is on Speak, and I said to him: “Why don’t we, as a joke, record too Colors and release it before the Happy Mondays do it?” I went to his house and we did a really unexpected version of it, because we used a sort of hip hop sample. We also incorporated Ben’s classical violin and the combination, we thought, was really quite fresh and quite unique. That had just come from junk, so we were really quite excited by what had happened. And it was really almost like a last throw of the dice. We were going nowhere. We did this and we thought: “Let’s just produce a 7 inch single of it”. We knew we were going to lose a lot of money, but we did it anyway. Given the nature of no-man’s music, which is serious, I wrote a comedy publicity sheet and since I’d studied very carefully the journalists I thought might like us, we sent five copies of the single out. And we ended up within a week. It was unbelievable. Steven phoned me up and said: “Well, you do know that we’re single of the week in Melody Maker”. And so, from nowhere we ended up being single of the week in Melody Maker, single of the week in Sounds, single of the week in Channel 4 Television’s Teletext. Sounds crazy, but Teletext used to be a big thing at the time. The jokes luckily went down quite well. The music went down even better. And within a couple of weeks we had our gigs packed with record company people, journalists and so on. It was entirely due to Colors and I would say in particular there was one journalist, a guy called Chris Roberts, who absolutely loved the band, and came to the next gig, and he’s been a supporter ever since and he’s been really important to us. Funnily enough, around the same time, The Shamen heard us and really liked us and they did a remix for no-man for free. I mean that’s how nice they were. They did a remix for free and then reckoned us to their record label. So, basically, in a couple of months everything came together for us.

 

Marco: Loveblows & Lovecries contains some of the most accessible material of the band’s and your own’s careers, while unequivocally maintaining the “no-man” style. Listening to it now, thirty years after its release, what traits do you think are still evident in your sound?
Tim: I think that there are certain chord sequences and textures that both of us gravitate towards. So, for example, you’ve heard The Harmony Codex, which is probably my equal favorite Steven’s album, and probably the closest he has come to no-man, at times. Interestingly enough, Steven mixed my albums, and my new album, which is coming out next year, is the first one where I’ve written and played everything, the whole lot. And what is interesting is that a few of the tracks could be no-man’s. So what was odd is that Steven does his solo album, I’m writing myself up, and there are tracks on both that could be no-man. There’s a certain kind of bittersweetness, as I describe what you do with the word accessible. I think the best of no-man, in my view, manages to be quite emotional, but not overwhelming or overbearing. It has kind of a bittersweet sensibility, that’s kind of  appealing, which I think is in The Harmony Codex. I hope it is in my album and I know it is in Loveblows & Lovecries. There’s a kind of a certain rich harmony and core which I guess we’re still drawn to, we still naturally will gravitate towards this feeling in music. And, I think some of the best of what we do is in no-man, because I like experimental music and I like accessible music, but ultimately – and Steven feels the same way and maybe this is why no-man is no-man – while we’ll both respond to the most extreme King Crimson or Stockhausen and some pure pop, whether it’s Pet Shop Boys or The Beach Boys. I think that what no-man manages to do is almost synthesize these into something that’s quite listenable to and accessible despite having influences from all sides. Whereas I know that sometimes, on my own, I can flip between the extreme noise and the extreme pop, I always think that, for whatever reason, whenever I write with Steven as no-man, we balance each other. I think that’s no-man, and I think you can hear that. And I’m not saying we’re like this artist or we’re as good as this other one, but I think there are other artists who possess this quality, which I regard as “creative mainstream” and are being quite accessible but actually not skimping on experiment, and are not being dishonest emotionally. Pink Floyd’s Dark Side of the Moon and Kate Bush’s Hounds of Love are great examples of that; Talk Talk’s Laughing Stock, The Blue Nile’s A Walk Across the Rooftops; more recently, I think Bjørk has done the same, and even Elbow managed to produce music which is kind of beautiful, interesting, and also manages to naturally communicate. And I think and hope that’s what we did as no-man, synthesize in some way the extreme of our tastes. And it almost goes back to that conversation we were having earlier about the extremes of politics and whether music can go through and be one voice. Maybe this is what it does, it’s a dialogue producing something that communicates rather than puts people off.

 

Marco: I think a good example of what you said is the track Jansen, Karn and Barbieri played on Loveblows & Lovecries, ‘Sweetheart Raw’, with the long, instrumental and layered part at the end.
Tim: That was an interesting track to write, because it started as a couple of the early songs when I didn’t have my home studio set up and I just kind of wrote on guitar. So that track started off as a kind of four chords acoustic singer songwriter piece that I played to Steven, and what remains out of that is the chorus. Suddenly, something different happened in the studio and when Jansen, Karn and Barbieri got involved, it took on another life entirely. Interestingly enough, with that track, I can also hear at the very end of it, in that section where it goes off musically, the birth of the early more space rock Porcupine Tree.

 

Marco: I completely agree. And speaking about those three extremely important people for you – Jansen, Barbieri and Karn – when I heard that this box set was coming around, I thought that it might contain a live exhibition with that lineup. So, this comes from a pure fan question: do they even exist? If so, are we going to hear any of them?
Tim: Sadly not, I think the only things that exist in good quality from that period are a couple more recordings with other people from BBC sessions. But for whatever reason, we did not have a proper live recording. So the only thing you’ve got are really bad cassettes at the front of the stage with distorted vocals and drums and it sounds awful beyond belief. Which is sad. But we could do a lot of studio recording, so Steven and I carried on writing during that period. So there’s a lot that’s unreleased, and we might release at some point some of the tracks, ‘Angel Gets Caught in the Beauty Trap’ being an example. Actually, it took us four years to complete. It started off, basically, with Steven and I having the opening section, really probably the opening two and a half minutes, which we thought “That works really nicely”. And then Steven felt we could take it even further with that, as it would have happened some years later with ‘Lighthouse’ [a track from Returning Jesus, 2001, whose first few minutes were composed during the Flowermouth writing sessions]. And so I went to his house one night and we expanded the two and a half minutes demo to something like twenty minutes, even longer, perhaps more electronic and more minimalist than the version that got released. Then, occasionally, during that time before we got signed, we used to play it live. So there are really nice live recordings of that piece, from 1989, that for whatever reason are well recorded, unlike the stuff with Jansen, Barbieri and Karn. Also, there are all sorts of versions: there’s an eight minutes version from 1992 that I heard recently, which doesn’t have Robert Fripp and Ian Carr but still really works; there’s a fantastic five and a half minutes version, which I almost thought about including on Swagger, because it captures this period in between phases. It’s basically Steven and I, in a room, luckily nicely mic’d up, and we’re playing it to Ben for the first time. The opening part of it is the song section we’ve composed, that it develops out and Ben is improvising and doing a beautiful bit of playing, and towards the end I’m improvising and singing in a much more aggressive way, it almost ends in a sort of dynamic Peter Hammill, or Michael Gira of the Swans.

 

Marco: I think ‘Angel Gets Caught…’ is in the short list for being my favorite song of all time. It summarizes pretty well as a song what you said before: it’s an 11 minute song, but that’s quite intimate, quite accessible in a way, and of course there’s the work from all the other people involved which was amazing.

Cristina: I have something more to say about ‘Angel Gets Caught…’. I like, sometimes, to think about which is the perfect moment in a song I’m listening to, even if it’s a long one like this. In this one, for me, it happens at the third minute, when the trumpet from Ian Carr enters the scene. I really was trapped by this moment, this perfect, beautiful and sublime moment.

Tim: I think you’re right, with certain songs there are moments where it can just be one note of the trumpet or one note of the guitar. I’m a big fan of the track, as well, and everybody’s performance was superb. And I also really like ‘Simple’ from Flowermouth, partly because it begins almost as an innocent, simple pop song, but the lyrics get more complex and the music gets more complex as it goes along. And when we were in the studio producing that Robert Fripp was coming up with shards of magic here and there and with that track he just got lost in it and was building up almost a symphony of soundscape guitars over the piece, which is how it ends. So it was a kind of magical hearing that happened in real time. And it was great working with people like Mel Collins and Ian Carr, too. And, of course, I feel that moment with other people’s music as well, where you love the song, then suddenly, it might just be one particular – saxophone, trumpet or guitar – hits a harmony and from loving the song it becomes one of your favorite songs of all time, because that moment just fills you with something.

 

Cristina: A fascinating thing about Flowermouth is how it was rejected by the label despite the participation of all the music giants we already have mentioned. Was the idea that these legends supporting your modus operandi important in making you continue on your path without taking into account the requests of the label One Little Indian?

Tim: As I said, on the first album we went around big studios, but then realized we often preferred what we’d done in our own studio. With Flowermouth, we thought: “We might never be given another opportunity to make a record, so let’s make it the best, biggest, most beautiful thing that we can do”. In other words: “Let’s work with the people we want to work with, let’s make the music we want”. Occasionally we’d hire an outside studio just to record Mel Collins or Ian Carr as it was easier for them, but it was almost exclusively done at no-man’s land. The label wasn’t involved, whereas for the first album they were coming into sessions and telling us what they thought should happen, whether we ignored them or not. For this album we completely ignored everybody and produced what we wanted to produce. We had a slightly smaller budget for it and we’d spent it all in our home studio. We bought great microphones, great ADAT machine; we paid for Robert Fripp and Ian Carr. We thought: “That’s where the money is going this time, not in a big studio”. Then we and our manager – we had Talk Talk’s manager at that point –  presented the album to the label, and they really liked the track ‘Watching Over Me’, which is another of those pieces I brought in as an acoustic strum along, as ‘Teardrop Fall’, actually. There was going to be a single and a video for ‘Watching Over Me’, Mike Bennion had already done a storyboard for it. Then our manager went on holiday and once the label had absorbed the album – especially the eleven minutes long track ‘Angel Gets Caught…’ – they thought: “Okay, at one point you had the chance of being a pop band and succeeding. You’re never going to succeed with this”. And to save their budget they withdrew the single and the video. Ironically, Mike went on to use the idea for BBC 2 Television. You’ve probably got this on Italian TV as well, but sometimes they used to be very creative, with clever animations between programs. So Mike used his scripts for the video for that, and ended up being an award winning idea. A greater irony is that, partly because of the quality of the music, partly because of the quality of the people we were working with, the album sold six times more than the first album and did quite well with no budget compared to the first album. So, in the end it’s a good story and it just gave us the courage to think “Okay, what do we want to do now?”, but at the same time you think: “Had they done the video, had they done the promotion, had they believed in this album like we believed in this album, it could have sold ten to twenty times more, not six times more”. And again, contrary to popular belief, we were never dropped by One Little Indian. They wanted to keep us on for Wild Opera, in fact there’s a white label cassette of Wild Opera on One Little Indian. The reason we didn’t stay with them is that the budgets were getting lower and lower, and basically they just admitted they were going to put it out. They didn’t necessarily have the enthusiasm for the music, because again, ironically, we’d produced this lavish album that had actually done better than expected and what do we follow up with? A really experimental record, full of dissonance and beats and bitterness. I think that they wouldn’t have promoted that properly. So we went right back to basics and signed to a smaller indie label who had bands we liked, like Spaceman 3 and Bark Psychosis and so on.

 

storyboard watching over me video
Part of the storyboard for the never made video for “Watching Over Me” – Thank You to Matt Hammers for the picture. https://carolinaskeletons.wordpress.com/

Marco: Remaining to the Flowermouth sessions, how was it to have Robert Fripp playing guitar in Steven’s childhood bedroom?

Tim: It was amazing. You’d think I’d be used to this because I’ve been working with people that I admire. As a teenager I loved Japan, Talk Talk, King Crimson, Pink Floyd. And we ended up with Talk Talk’s manager, working with Robert Fripp, Mel Collins and so many people that I grew up loving. It was a thrill then, and it has got to remain something that is exciting. You don’t have to be cynical, you know, but also don’t let it overwhelm you. The one thing I think Robert liked about Steven and I was that we knew what we wanted. We were as strongly opinionated as he was, and we were joky. So on one level we were aware of how special it was, on another we weren’t overawed or overwhelmed. But it still remains a thrill, because I still work with quite a number of artists that I listened to when I was younger now. I worked with Kevin Godly of Tennessee and Andy Partridge of XTC and it was amazing. Recently I’ve been doing some work with Julianne Regan of All About Eve. She is an amazing vocalist and she had a beautiful hit single that I remember buying when I was younger. And while we’re working as creative equals, I’m still thinking: “God, isn’t that amazing that I’m working with Julianne?” I have worked with Robert Fripp on several occasions because he’s a remarkable player, justifiably legendary. What was great about him and Mel Collins is that, a bit like Ben Coleman, we let them loose on the music. Steven and I had a very strong idea of what we wanted. The way I work with these musicians is I’ll say to them: “This is what I want, give me that”; then: “Give me what you think this piece needs”; then, maybe: “Just improvise for fun”. And out of those three approaches you get something. And that was the way we worked with Fripp in particular, but Mel Collins, also. The music flowed out of them. We just put them in any situation and they were great. Instantly they were playing in and around the piece. There was no awkwardness. They gave us what we wanted and then just played in a liberated style. That was a fantastic and very special experience, and still remains so.

 

Cristina: We would love to know the creative process behind the songs, especially the lyrics. In this process do you draw inspiration in any way from literature? What novel have you read recently that particularly struck you?

Tim: In terms of lyrics, it’s a combination. I’m constantly writing lyrics. I’m constantly writing phrases, titles, things that come in and sometimes they suggest whole sequences. But I also tend to write my melodies when I’m writing a song, whether it’s with Steven or on my own. The melody and the emotion have to come first, therefore, almost like a poet works within iambic pentameter, I’m working within whatever melody I’ve written. The lyrics tend to be a combination of things that I’ve been drawing on for years and then suddenly writing to my melodies and something grips you and you’re almost taken by that.
In terms of “other lyrics”, I love literature, I still read poetry and I still read novels. A book I found very interesting and affecting recently was Termush by Sven Holm. At the moment I’m rereading a book by Kurt Vonnegut. It’s not one of his best, but I bought a cheap new edition again because my personal copy was absolutely knackered, and I’m rereading it to justify its place in my book collection. I’m also reading a new book by Samantha Harvey called Orbital. It’s almost a poetic account of astronauts on a space station, observing the Earth and going through the process of being human and their own emotions and their thoughts of life on Earth. I’ve always admired writers and it could be anyone from T.S. Elliot, Philip Larkin and Carol Pinter to Kurt Vonnegut and Raymond Carver. And in this I count lyricists as well. Jony Mitchell is one of the few lyricists who managed to convey complex ideas and rich emotions in quite basic but poetic language. I love that ability to say a lot with very little, I think there’s a great skill involved there. I think it’s very easy to be really pompous, overstated and grand eloquent and use polysyllable after polysyllable, but I think it’s really difficult to say something quite profound and meaningful with very few words. And certainly, as British poets go, Philip Larkin is one of those. He has such tremendous balance, and yet power and elegance. There’s actually an Italian poet, Giuseppe Ungaretti, who I think has a similar ability to be still utterly beautiful and send you off at so many tangents with really quite plain language. There are writers that have influenced me over the years and I still read and I still get affected.

 

Cristina: In your opinion, not only as a composer but also as a music listener, why is that a song can be more appreciated after several listens, rather than at first impact? Is there a “technical” explanation or is it simply due to the individual’s approach towards a song?

Tim: It’s difficult. A lot of the things that I like and love I hadn’t liked initially, and then they grew to and wrapped around me. I think that one of the reasons why Dark Side of the Moon and Joni Mitchell’s Hejira still seem to haunt, or The Beatles are still being discussed now, is that there’s so much detail in their arrangements, so much unexpected unusual harmony, even though they only used four tracks, sometimes. As you pointed out with ‘Angel Gets Caught…’, for example, with the way Ian Carr is playing against the other instruments; but there’s a lot of other complex information in pieces like this, and maybe we love it enough to listen to it again and again. And then, on the fiftieth listen we kind of think: “Oh, that bass guitar does something that surprises the ear!” or “There’s a vocal harmony that actually I’d never noticed!”. So I guess it has to do with the unexpected level of detail and the human emotional nature, because when you’re listening to the upper echelons of the charts’ modern auto-tuned pop it’s difficult to hear a surprise in that because every surprise has been programmed out of it. Whereas in a lot of the music from artists as Mercury Rev, Flaming Lips, Bjørk there’s still an unexpected quality, so much in the production and in the details, that I think that what comes back it’s the human fragility, the nature of the detail and maybe as well that there’s a particular feeling that we’re craving that kicks in again when we listen.

Cristina: Yes, and listening to Flowermouth now feels pretty different than listening to it twenty years ago.

 

Marco: Coming back to no-man, are you guys going to release other box sets or other unreleased material?

Tim: Hopefully Swagger is going to mark the beginning of a series of archive releases. We’ve certainly got enough material to justify that. And we always talk about recording together, so hopefully that will happen again. More recently we’ve been talking about recording with the original violinist, Ben, because after such a long time I think we could recapture the spirit and do something different with it.

 

Marco: He played on both your and Steven’s latest albums, right?

Tim: Yes, because I missed some of the contributions he made to the older no-man’s music, and I think that ‘Dark Nevada Dream’ from Butterfly Mind [the song from Tim’s latest solo record where Ben plays violin] was almost like a direction no-man could have gone in.

 

Marco: So archive releases and maybe new music. This question actually comes from Evaristo, the fan-club’s founder who could not join us today. He was at the Bush Hall concert in 2008, the one you recorded for the Mixtaped DVD, that is actually how I discovered the band. He asks if there is any chance to see you guys perform again sometimes?

Tim: Again, I hope so, I’ve suggested a couple of things to Steven, because I think he’s oddly less keen on the nature of touring now than I am. I’m performing a couple of gigs in England in January, one in London and one in the Midlands, in Kidderminster, and in the set I’m doing half no-man material as well as half of my solo work. I still think there’s a lot of life in that material live, and I also kind of feel more comfortable producing that music live now than I ever did since, weirdly, the late eighties and early nineties, when we had that three piece no man formation. So I hope so, because I think that when we last played together in 2012 it was great and it wasn’t a repetition. What’s really good about no-man – and, I hope, about the music that Steven and I produce – is that while we want to be a hundred percent faithful to the emotion with the material, we’re never going to do note for note view versions. It’s got to feel like we feel now and evolve with our tastes. The Bush Hall gig felt very tentative compared to what we were doing in 2011 and 2012. It felt to me as if the band had evolved and we had evolved as performers, and the music was taking on a fresh life. It would be great to do that live again.

 

Marco: I saw you playing with your solo band in 2019 in Camden, as I was living in the UK in that period. It was such a nice evening and the no-man songs were really good to hear. I hope to see you perform them again, with Steven and eventually Ben.

Tim: Well, you know, the last time we formed was because my band knew so much no-man material that Steven could just join us. And it’s the same now, even if I’m with a completely different band now. I’d honestly say that, musically, it might be the best live band I’ve ever been with, and what they’re doing with the no-man material is redirecting and refashioning it again. I think Steven would quite enjoy it and he is going to come and see the London gig and we’ll see, maybe he’ll feel like jumping on stage with us, because that is what happened before. So it’s not beyond the bands of possibility.

 

Cristina: And as for gigs, if I’m not wrong you attended Brian Enos’s Ships tour in London, last October. I was at the opening date in Venice. I’m just curious to ask you what you think about the whole project and what you think about Peter Chilver’s contribution, as he played the keyboards.

Tim: It was great, I really enjoyed it. Obviously I’m incredibly pleased that Peter is involved in this project. I’m still working with Peter, he’s a wonderful musician and very sensitive player and he deserves this profile. It was great seeing somebody who deserved being up on that stage. Overall, it was a great gig. What I thought was interesting is that Brian is in his seventies and could have done anything from his past, but he’s doing something quite fresh. It wasn’t an obvious ambient gig, it was almost, to my mind, like Brian Eno reinventing himself as a modern classical composer. I kind of heard it in the way that I hear people like John Luther Adams or Philip Glass. It was a beautiful atmospheric symphonic performance with a lot of musicians working and almost dancing, even the conductor Kristjan Järvi. I really enjoyed this. It was nice also, for me, because  when I was walking to the venue I spotted Richard Barbieri and ended up having a drink and a long chat for the first time in a long time.

 

Marco: To finish, even though you already spoke about something of that, what are your forthcoming plans? A new record, some lives and what else?

Tim: Immediate plans are a couple of live performances in January. I’ve also done a couple of sessions for people, including an Italian artist called Stefano Panunzi, who is in the band Fjieri. I’ve done a couple of vocals for him and another one for a Norwegian band called Laughing Stock which was a really nice session. They have got a great Norwegian trumpet player on it. I’m very near to finishing my next solo album, which, as I’ve said, for the first time it’s been all me, so it’s very different. It’s going to be about 41 minutes long with about 17 tracks. Really quite a different piece of work. I’ve enjoyed it a lot and Steven, who’s mixed it, has been really encouraging and seems to think it’s my best album, which is great. I’ve also done a couple of things on the side with Julianne Regan, which are lovely. She’s a very creative musician as well as a great singer. So there’s quite a few things that are happening or about to be released. And we’ve even discussed the idea of doing The Album Years Live. We’ve just launched the new episodes and there’s a lot coming. We did them for the first time face to face. We finally met post Covid and and we talked for so long that we produced twelve episodes in two days. And we met up about four days ago and we’ve done two Christmas specials. Virgin Records are now promoting the podcast and could get involved in it. They’ve been talking to us about the possibility of doing live performances of us discussing years in front of an audience or even interviewing some of the people whose albums we deal with. So that could be good fun.

 

Marco: Thank you very much, Tim. It’s been really good to see you and talk about all of this. We hope you enjoyed this evening with us and hope to see you again soon! Of course, we’re looking forward to receiving the boxset and Swagger!

Tim: Well, if you get me able to get me over to Italy, of course! Anyway, thank you very much for the questions.

 

Cristina: Thank you Tim, and Merry Christmas! Bye!

Tim: Oh yeah, Merry Christmas. Alright, see you.