Intervista a Steven Wilson dei Porcupine Tree in occasione del concerto di Torino del 24 aprile 2001 per il “Lightbulb Sun” tour, pubblicato su Suburia magazine, a cura di Marco Pugliesi.
Dal giorno in cui ho scoperto i Porcupine Tree sono cambiate molte cose: la mia vita, ad esempio. Raramente un gruppo incide così tanto sull’esistenza di una persona, e ancor più raramente è in grado di cambiare la vita non solo a te, ma anche a chi ti circonda: parenti, amici, conoscenti. Chiunque sia entrato in contatto con il mondo sognante e ovattato della band inglese ne è rimasto rapito. Come una droga, la loro musica ti entra in circolo e non c’è rimedio. Vi sfido a trovare un gruppo altrettanto evocativo, altrettanto profondo e intenso: non c’è, semplicemente. Dai loro esordi fino all’ultimo studio album ufficiale, “Lightbulb sun”, per finire al nuovo “Recordings”, raccolta di b-sides e inediti, la loro è una carriera in perenne ascesa: dai circoli underground fino ai club di tutta Europa e Stati Uniti, sempre sottovoce, anteponendo l’arte al mero commercio. Questo sono i Porcupine Tree: un gruppo stregato, un suono magico, un arpeggio che vale l’acquisto di un disco. E non pensate che queste siano le parole di un semplice innamorato: date una chance a Steven Wilson e compagni e non rimarrete delusi.
Appena saputo del tour italiano dei Porcupine Tree, ho chiamato etichetta discografica e organizzatori per riuscire a fissare un’intervista. Nulla da fare: la band inglese sembrava essersi dissolta nel nulla. Ho fatto telefonate fino in Inghilterra per mettermi in contatto con il tour manager, invano. E infine, da fan ancor prima che “giornalista”, ho fatto la cosa più naturale del mondo: arrivare con due ore d’anticipo nel luogo deputato alla loro esibizione torinese e chiedere direttamente a loro il permesso per un’intervista. Mi si fa incontro Adrian, manager dai modi assai burberi che però mi dà il suo benestare. È fatta, Steven Wilson ci aspetta nella hall di un modesto hotel per un’intervista molto lunga, che farà slittare il concerto di oltre quaranta minuti. Se c’eravate, sapete di chi è la colpa..
Marco Puglisi: Steven, tra poco sarai sul palco, e ti confesso che le mie aspettative per lo show di stasera sono altissime, alle stelle. È un momento che ho aspettato per tanto tempo: vuoi darmi qualche anticipazione sulla scaletta di stasera?
Steven Wilson: Non hai mai visto un nostro concerto?
Marco Puglisi: No, purtroppo no.
Steven Wilson: Qui a Torino è la nostra prima volta, ma a Milano ad esempio ci siamo esibiti in più occasioni, così come a Roma dove abbiamo addirittura registrato un live album (“Coma Divine”, nda).
Marco Puglisi: Lo so, però non mi hai ancora detto cosa suonerete oggi..
Steven Wilson: La verità è che non abbiamo ancora deciso quali pezzi includere nello show (bugia, per tutto il tour europeo i Porcupine Tree hanno suonato la stessa identica scaletta, con l’eccezione di un paio di brani al massimo, nda). Di solito ne discutiamo nei camerini, anche se un’idea a grandi linee sulle canzoni ce l’abbiamo sempre. E in ogni caso penso che sia meglio la sorpresa, soprattutto se questo è il nostro primo concerto che vedi, no?
Marco Puglisi: D’accordo, resisterò ancora qualche minuto.
Steven Wilson: It’s ok.
Marco Puglisi: “Lightbulb Sun” è ormai uscito da qualche mese, te la senti di tracciare un bilancio?
Steven Wilson: Posso dirti che il responso da parte della critica è stato generalmente buono, e che quello del pubblico lo stiamo sondando direttamente ora che siamo in tour. Ad essere sincero non leggo quasi mai le recensioni.. o almeno cerco di non farlo. Non mi interessa, ma alle volte la curiosità ha il sopravvento. Al momento “Lightbulb Sun” è il nostro best-seller, e questo è un dato molto incoraggiante. Siamo in continua crescita, e ogni album vende più del precedente. Non ci sono mai stati exploit clamorosi, ma un lento, costante incremento che dimostra quanto la nostra direzione sia giusta. Andiamo avanti a piccoli passi, ma andiamo avanti e questa è già un’ottima cosa.
Marco Puglisi: E il vostro ultimo lavoro continua il discorso intrapreso con “Stupid dream”, allontanandosi dal vostro passato più psichedelico per la ricerca di una forma-canzone più orecchiabile. Personalmente amo i vostri vecchi (capo)lavori almeno quanto gli ultimi, e ho letto che avete intenzione di tornare alla sperimentazione più pura. Quanto c’è di vero?
Steven Wilson: Niente, non torno mai indietro. Il passato è finito, bisogna continuare ad evolversi. Non me la sento di dirti che il prossimo album sarà un ritorno alle radici più psichedeliche, ma posso dirti invece che sarà probabilmente il nostro album più dark e heavy. Gli elementi più progressivi non mancheranno, ma sarà un album diverso, ancora una volta. Penso che non sarà così song-oriented come “Lightbulb Sun”, ma non sarà nemmeno un disco che guarda alle passate produzioni.
Marco Puglisi: Avete già composto qualcosa?
Steven Wilson: Certo. Niente ancora di definitivo, ma stiamo cominciando a lavorare sulle prime tracce, e sta venendo fuori una musica più pesante che in passato, con delle chitarre molto presenti e delle influenze metal molto accentuate, ma saranno presenti anche molti break melodici. Ma forse è prematuro parlarne..
Marco Puglisi: Hai accennato all’heavy metal, e in molti ti hanno scoperto per aver lavorato con gli Opeth sul loro nuovo “Blackwater Park”. Pensi che questa collaborazione possa aver influenzato il nuovo materiale che stai componendo con i Porcupine Tree?
Steven Wilson: Sì, penso che sia normale, è un riflesso incondizionato. Sono sempre stato un grande ascoltatore di metal, me ne sono sempre interessato, ed è per questo che ho voluto dare una mano agli Opeth, ai quali mi lega una reciproca stima. Voglio farti capire che non ho deciso di lavorare con loro per soldi e che non li ho scoperti all’improvviso, ma che li seguo da parecchio ormai. Penso inoltre che il percorso intrapreso dagli Opeth sia parallelo al nostro, e che ci siano diversi punti di contatto, come ad esempio la scelta di essere più diretti e soprattutto un mood malinconico comune.
Marco Puglisi: Ma cosa deve avere un gruppo per interessarti e, quindi, avere il tuo aiuto?
Steven Wilson: Come ti ho detto con gli Opeth è stata una cosa tra amici. La loro musica è molto buona, ma quello che mi ha convinto è stato il loro cantante, Mike. Volevo semplicemente aiutarlo a sviluppare la propria voce, che ha delle notevoli potenzialità soprattutto sulle clean vocals. Ovvio, lui ha cominciato con il death metal, ma penso possa adattarsi benissimo anche a registri più melodici. È capace di somigliare a Jeff Buckley o a Tom Yorke così come è in grado di perforarti i timpani. È molto bravo. Ecco, mi incuriosivano questi due aspetti della musica degli Opeth. Hanno qualcosa di speciale che purtroppo manca alla maggior parte delle band heavy metal.
Marco Puglisi: È vero che in questi giorni avresti dovuto produrre il nuovo album dei Mullmuzzler di James LaBrie (cantante dei Dream Theater, nda)?
Steven Wilson: Sì, avrei dovuto mixarlo ma purtroppo James non ha ancora terminato le registrazioni, così è slittato tutto e sono dovuto partire in tour. Peccato, perché ci tenevo a lavorare con lui, ma non mancherà un’altra occasione, spero!
Marco Puglisi: Il sound dei Porcupine Tree è sempre stato ricercato, fin dagli esordi, e dietro gli arrangiamenti dei brani si nota subito quanto sia immensa la mole di lavoro. Ma quanto è difficile per te riuscire a plasmare le tue idee per dar loro forma e quindi musica?
Steven Wilson: È difficile essere sempre soddisfatti del lavoro svolto, ma alla fine della giornata devi poter staccare la spina, capire che hai finito le registrazioni e non perdere troppo tempo, altrimenti finiresti con il non incidere mai nulla. Nel momento stesso in cui completo un album mi rendo conto di quanto i miei gusti, le mie percezioni siano mutate, e quindi già non mi sento più totalmente rappresentato da quello che ho scritto e suonato, pur amandolo tantissimo. La stessa cosa è accaduta con “Lightbulb sun” che mi ha davvero coinvolto durante la sua registrazione, ma ora ci sono alcune cose che non mi soddisfano. E considera inoltre che quando eravamo in studio i Nine Inch Nails sono usciti con “The fragile” e mi hanno sconvolto! È un album splendido e, se fosse uscito qualche mese prima, avrebbe indubbiamente influenzato anche la nostra musica. Non saprei spiegarti, è una sensazione strana, ma quando ho ascoltato “The fragile” mi è venuta voglia di ricominciare tutto daccapo.. Per quel che riguarda i testi è la stessa cosa: anche qui, leggendo quelli dei vecchi dischi, mi sembra di vedere un’altra persona. Sia chiaro, sono testi che mi appartengono, ma non fanno più parte di quello che sono oggi. E so che quelli che scriverò domani non mi rappresenteranno più dopodomani. È un processo di crescita continua..
Marco Puglisi: Siete sempre stati un gruppo molto emozionale, ma che tipo di reazioni pensi e speri che la tua musica possa suscitare negli ascoltatori?
Steven Wilson: Che tipo di emozioni? È difficile.. (Steve sorride per poi farsi subito pensoso e silenzioso per molto tempo. Nel frattempo arriva il giocondo bassista Colin Edwin, nda). Fondamentalmente noi non scriviamo musica per nessuno, ma soltanto per noi stessi, quindi non c’è alcuna volontà programmata di suscitare una determinata reazione negli altri. Forse non è una cosa che i nostri fans vorrebbero sentirsi dire, ma penso che essere artisti sia prima di tutto essere onesti verso se stessi e creare arte per il proprio puro piacere personale. Se cominci a fare musica per chi ti ascolta, per la stampa, per i critici, rischi per te stesso, e rischi l’anima (“you risk your own, you risk your soul”, testuale, nda). È per questo che non riesco a risponderti in modo soddisfacente: noi scriviamo per noi stessi, non vogliamo provocare nulla negli altri. Se poi gli altri ci apprezzano, ben venga. So ad esempio che c’è molta gente che ascolta la nostra musica mentre fa uso di droghe, altri la usano come sottofondo, altri ancora la sviscerano e la analizzano fin nei minimi dettagli: come vedi ognuno la interpreta in maniera diversa. La cosa più importante per me è sapere che i Porcupine Tree danno delle sensazioni uniche, sensazioni che non trovi in nessun altro gruppo. Prima parlavamo di metal.. beh, è forse il genere più omologato in assoluto. Ci sono molte band intercambiabili. C’è troppa gente che suona come i Korn o come gli Slipknot. E i ragazzi non se ne accorgono: la musica spesso è troppo omologata, e sembra che non importi a nessuno. Mi piace pensare invece che chi si avvicina alla nostra musica non riesce a trovare niente di simile altrove.
Marco Puglisi: I tuoi testi, di cui parlavi prima, mi sembrano molto intimisti e personali. Quanto sono autobiografici? Quanto della tua personalità metti nelle tue parole?
Steven Wilson: Ci metto molto del mio modo di essere e di pensare nei miei testi, soprattutto in quelli degli ultimi tre album. Sono in parte autobiografici, ma non troppo, perché se parlassero esclusivamente delle mie idee finirebbero per togliere alla gente il gusto per l’interpretazione personale. Ecco, non vorrei mai che i miei testi fossero così chiari, così netti, ma mi piace lasciare qualcosa in sospeso, affinché gli ascoltatori possano immedesimarsi nelle mie parole. Da dove traggo l’ispirazione? Da tutto ciò che mi circonda: la mia famiglia, i miei amici, i film che ho visto, i libri letti, la musica che ascolto.. e naturalmente tutto è mediato attraverso le mie emozioni. Poi è ovvio che tra le mie esperienze e le tue, o quelle di chiunque altro, ci siano dei punti di contatto, e allora i testi diventano di tutti, non sono più miei personali. Ognuno di noi ha la sua vita, le sue esperienze, ma i modi di comportarci e spesso il modo di pensare, sono molto simili, e poi ci sono temi che toccano un po’ tutti, come la religione, l’amore, o anche che affascinano come lo spazio, particolarmente legato alla psichedelica.
Marco Puglisi: Ascoltando la musica dei Porcupine Tree, è facile immaginare che il processo compositivo si svolga prevalentemente di notte. E’ solo un’impressione? Preferisci scrivere quando sei triste o quando sei di buon umore?
Steven Wilson: Riesco e mi piace scrivere in ogni situazione, ma il problema attualmente è avere il tempo per poterlo fare. Mi manca davvero il tempo. Ma quando compongo posso essere da solo, o in compagnia di un amico. Posso avere sottomano tutti gli strumenti, dai sampler al pianoforte alla chitarra, o anche il nulla assoluto, magari ho una melodia che mi ronza in testa, e comincio a lavorare su quella. No, non c’è alcun momento in particolare in cui mi piace scrivere nuova musica.
Marco Puglisi: Le tue canzoni parlano spesso d’amore, anche se spesso in maniera tutt’altro che felice: perché?
Steven Wilson: Love.. stai parlando della band anni ’60 (i Love, band disco funky che spopolava ai tempi dei nostri genitori, nda)? Eheheh.. l’amore può essere distruttivo, e mi concentro soprattutto su questo aspetto..
Marco Puglisi: Certo, una canzone come “Feel so low” è molto esplicativa al riguardo..
Steven Wilson: Esatto, non mi piacciono le cose troppo allegre. Quando sarò più vecchio, magari..
Marco Puglisi: Io vi ho scoperti tempo fa dopo aver letto moltissime recensioni nelle quali, puntualmente, eravate paragonati ai Pink Floyd che, inutile dirlo, sono uno dei gruppi da me adorati. Vi lusinga questo confronto con loro o vi dà fastidio?
Steven Wilson: No, non è che mi dia fastidio.. ma proprio non capisco. Non riesco a capire come i Porcupine Tree possano essere paragonati ai Pink Floyd (parlo a titolo squisitamente personale: le influenze di Waters e compagni sono palesi, nda). Noi siamo diversi, non vedo troppe somiglianze, pur essendo i Pink Floyd tra le nostre fonti d’ispirazione. Ma come loro ci sono tanti altri gruppi con i quali siamo cresciuti, ma chissà perché veniamo sempre etichettati come i loro eredi. Sarà per le chitarre “spaziali” o per l’uso delle tastiere, ma onestamente penso che i Porcupine Tree siano molto più che una clone-band dei Pink Floyd. Ma ormai è una cosa che ci portiamo dietro da anni… vedi, penso che il problema sia dei giornalisti, che sono abituati ad etichettare tutto, e se noti in ogni recensione, di qualunque gruppo, si fa immancabilmente riferimento a qualche altra band. Non dico che questo sia sbagliato, ma spesso si creano delle etichette che ti si appiccicano addosso e che è difficile staccare.
Marco Puglisi: Parlavi delle chitarre “spaziali”, ma tu quando hai cominciato ad avvicinarti allo strumento e da chi hai imparato?
Steven Wilson: Beh, io non sono mai stato un chitarrista e suono chitarra perché devo farlo. Mi sento un compositore, non saprei suonare i pezzi di altri gruppi con la mia chitarra, al di fuori di quelli dei Porcupine Tree. È soltanto un mezzo che mi permette di creare la musica che ho in mente. Ma non adotto alcuna tecnica particolare, né ho mai studiato lo strumento. Sono un semplice autodidatta. Eppure non mi è mai venuto in mente di concentrarmi solo sulla mia voce, assumendo magari un chitarrista, perché solo io sono in grado di creare i suoni che voglio.. Non è superbia, ma è soltanto la consapevolezza che nessuno riuscirebbe a tradurre quello che ho in mente direttamente in musica.
Marco Puglisi: D’accordo, ma questo allora dovrebbe valere per tutti gli altri strumenti. O no?
Steven Wilson: Well.. agli inizi suonavo tutto io, e usavo una drum machine perché alla batteria sono proprio incapace. Poi con il passare del tempo ho trovato dei ragazzi davvero validi, e ora i siamo una band. Ma, non so perché, la chitarra non riuscirei a lasciarla a nessuno..
Marco Puglisi: Ora una domanda un po’ difficile: prova a descrivere i Porcupine Tree con un aggettivo soltanto.
Steven Wilson: Uno solo? (Steven comincia a pensare e lo sguardo si fa sempre più profondo e corrucciato, nda). Forse direi unici. Mi darebbe molto fastidio se qualcuno ci considerasse i cloni di un altro gruppo, perché penso che nessuno, ora, suoni come noi.
Marco Puglisi: Qual è il significato di un disco come “Voyage 34 – The Complete Trip”? E’ vero che è un concept album basato su un documentario americano degli anni ’70 sull’LSD?
Steven Wilson: Sì, è tutto vero. Il soggetto era molto interessante, divertente e suggestivo. Mi interessava riuscire a trasporre in musica le immagini e le visioni che si possono avere dall’assunzione di droghe e il documentario in questione era già allucinante per conto suo. Il disco racconta, con l’ausilio di una voce narrante, la notte di un ragazzo che fa uso di LSD.
Marco Puglisi: Domanda d’obbligo: cosa vuol dire per te progressive?
Steven Wilson: Naturalmente guardare avanti! Non c’è niente di progressive nel suonare come facevano i Genesis nel 1972! Il progressive attuale per me lo fanno gruppi come Godspeed You Black Emperor!, Massive Attack, Radiohead o Nine Inch Nails.
Marco Puglisi: Prima abbiamo parlato di droghe. Sei d’accordo con chi afferma che la vera psichedelia nasca dall’uso di sostanze proibite?
Steven Wilson: No, assolutamente. Per me la psichedelia è ispirata dai sogni. Penso che fare uso di droghe ti aiuti soltanto a ricreare certe sensazioni che vivi soltanto durante la fase onirica, e te le faccia vivere da sveglio. Io faccio dei sogni molto strani, molto complicati e reali, proprio come quelli che può avere chi ricorre alla droga. Ma, almeno per quel che mi riguarda, la psichedelia deriva soltanto dall’uso dell’immaginazione.
Marco Puglisi: C’è una canzone che ami in modo particolare?
Steven Wilson: Sì, la mia preferita in assoluto è “Stop Swimming” (traccia conclusiva di “Stupid Dream”, nonché inno alla gioia, nda). È molto deprimente, molto triste.. eheheh (Steve, ma cosa ridi? Qui stiamo parlando di una canzone che istiga al suicidio! nda).
Marco Puglisi: È anche una delle mie preferite. La suonerete stasera?
Steven Wilson: No, non penso. La suoniamo ogni tanto, ma stasera credo che ne faremo altre, altrettanto deprimenti!
Marco Puglisi: Ci sono altri album che avresti voluto incidere, al di fuori di quelli dei Porcupine Tree?
Steven Wilson: Oh my God.. qualcosa di Miles Davis, “The Fragile” dei NIN, ce ne sono tanti!
Marco Puglisi: Ti sei sempre distinto per le numerose collaborazioni, anche in veste di produttore, ma c’è un altro gruppo che è considerato una priorità nei tuoi progetti: i No-Man. Come prosegue il sodalizio con Tim Bowness?
Steven Wilson: Benissimo. Il nuovo album “Returning Jesus” sarà nei negozi tra poco e prosegue la nostra esplorazione all’interno dei suoni, per lo più elettrici. Non c’è nulla di rock, ma soltanto atmosfere rarefatte, sofisticate. Niente chitarra, niente batteria. I No-Man suonano più calmi e rilassati dei Porcupine Tree e per me è una collaborazione molto importante, perché mi permette di sperimentare cose nuove, con musicisti di prim’ordine.
Marco Puglisi: Ora andiamo un po’ nel pettegolezzo. È vero che hai dedicato “Four chords that made a million” agli Oasis?
Steven Wilson: No, non è una canzone dedicata a nessuno (con tono piuttosto seccato, nda). Quando l’ho scritta avevo delle band in mente, ma gli Oasis… mah, non ho nulla contro di loro. Ok, qualche canzone la trovo anche carina, ma non sono certo originali. “Four chords..” è piuttosto una canzone che punta il dito contro i media, contro la stampa. In Inghilterra penso che la stampa specializzata sia la peggiore al mondo, e ha fatto di un gruppo come gli Oasis un vero fenomeno mondiale, quando altro non si tratta che di una cover band dei Beatles! Insomma, portare a livelli di genialità chi incide canzoni rubate a qualcun altro è da idioti, e per chi è un musicista è anche molto frustrante. Purtroppo mi sono abituato, e sarò sempre tagliato fuori dal circuito che conta solo perché voglio fare qualcosa di diverso. Il music business pesca a caso, e fa la fortuna dei mediocri. Ci sono migliaia di gruppi che suonano come gli Oasis e la sorte ha premiato loro. È lo stesso discorso fatto prima per gli Slipknot.. questo è il futuro, purtroppo.
Marco Puglisi: E dei Radiohead cosa mi dici? In molti vi considerano gruppi con radici comuni..
Steven Wilson: Come ti ho detto prima, i Radiohead mi piacciono, li considero una buona band. Hanno avuto la fortuna di incidere un singolo come “Creep” che negli States è diventato un tormentone, perennemente trasmesso dalle radio e in tv, e da allora sono in continua ascesa, nonostante il loro “Kid A” non sia andato molto bene. Comunque sono un gruppo molto valido, che non ha paura di osare.
Marco Puglisi: E i Coldplay? In Inghilterra ora vanno alla grande..
Steven Wilson: Sono ok, le canzoni sono carine, sono piacevoli da ascoltare, non ti stancano. Sì, i Coldplay mi piacciono.
Marco Puglisi: Pensi che sarebbe una buona cosa, in termini artistici, raggiungere i mass media e finalmente esplodere?
Steven Wilson: Non saprei. Vedi.. molti gruppi sono sempre alla ricerca del singolo di successo per finire su MTV. Scrivono canzoni a comando affinché finiscano in classifica, ma a noi non è mai interessato. Non abbiamo mai avuto i media a nostro favore, e se la gente conosce i Porcupine Tree è perché qualcuno gliene ha parlato. Siamo un gruppo che vive sul passaparola, sulle cassette duplicate, sugli amici che parlano di noi agli altri amici (vero: è scientificamente dimostrato che presentando i PT ad un vostro amico, questi se ne innamorerà, nda): è un processo sicuramente più lento, ma la crescita commerciale è anche costante. A piccoli passi, senza bisogno di alzare la voce.