Siamo a Milano, al concerto di Steven Wilson e la sua band, per l’ultima data del “The Raven That Refused to Sing European Tour”, al Teatro della Luna di Assago, famoso per ospitare importanti show televisivi italiani, situato proprio accanto al prestigioso Forum.
Questa volta il racconto inizia dal preconcerto: siamo estasiati dall’onore di avere un appuntamento con il Signor Wilson, che accoglierà dopo il sondcheck una piccola rappresentanza del Fanclub Italiano. Poche persone ma con belle doti artistiche, che portano con sé le loro opere da elargire al proprio idolo; il tutto si svolgerà in pochi minuti, rari momenti d’intenso pathos, anche per favorire uno spuntino della band, prima di iniziare lo spettacolo.
Puntualmente inizia lo show: Steven sfoggia una t-shirt dei No-Man, uno dei suoi più importanti e longevi side project, a rimarcare che c’è anche qualcos’altro oltre a tutto questo. Si parte con la potente ‘Luminol’, già portata in tour lo scorso anno, brano dall’ultimo capolavoro Wilsoniano, The Raven That Refused to Sing, che da subito ci fa capire quanto l’acustica della venue sia davvero niente male; il brano è così lungo che qualcuno – non avvezzo a certi concerti – crede che ne siano già passati due. Seguono invece la sognante ‘Drive Home’ e ‘The Pin Drop’, prima della bellissima ‘Postcard’, brano dall’album Grace for Drowning.
Poi accade qualcosa che non si era mai visto prima, Steven in uno dei vari cambi di chitarra, questa volta imbraccia un basso e Nick Beggs invece afferra un Chapman Stick per eseguire ‘The Holy Drinker’: con questa doppia soluzione le frequenze nella sala si abbassano notevolmente, grazie anche allo Stick, e secondo me il Teatro della Luna non ha mai vibrato così tanto. Di nuovo un brano dall’album precedente, la sognante ‘Deform to Form a Star’, per poi passare all’attuale e agghiacciante ‘Watchmaker’: ora scende il velo di fronte al palco, usato anche nel nel precedente tour ma con diversa tempistica di issaggio ed ammainamento, dove verranno proiettati i video che fanno da intro insieme al tappeto sonoro dei Bass Communion. Tutto ciò è davvero affascinante.
Personalmente raggiungerò l’estasi nel brano successivo con la strepitosa quanto inquietante Index, con Marco Minnemmann che picchia davvero forte ed è grande anche nel simulare con la batteria un passaggio che nel disco è ottenuto elettronicamente. I toni sono leggermente più pacati nell’esecuzione dell’epica ‘Insurgentes’, presa dall’omonimo primo album solista di Steven Wilson, da cui deriva anche il brano successivo, la deliziosa e trascinante ‘Harmony Korine’.
Da qui in poi sarà il delirio: siamo in un teatro, con posti a sedere numerati, e Steven cosa fa? Annuncia: “La scelta del mio agente è stata quella di farci suonare in un teatro, ma potete anche alzarvi e venire sotto il palco, adoro sentire il calore del pubblico italiano”. Grande! Voi cosa avreste fatto? Personalmente non mi è cambiato molto, stavo già nelle primissime file, ma vuoi mettere, vedere trasformato un elegante teatro dove stanno tutti seduti, in una scombussolata sala da concerti? Bè, questo la dice lunga sul personaggio e su quanto è amato dai suoi fans. Un ritorno ancora al passato prossimo con ‘No Part of Me’, dove Steven chiede a Marco Minnemann un piccolo drum solo, annunciando tra l’altro che questa sarà l’ultima data per Marco con questa band, a causa di impegni presi in precedenza con Joe Satriani, mentre il batterista Chad Wackerman prenderà il suo posto per proseguire il tour di Steven Wilson & Band in America.
Una versione ridotta, purtroppo, della suite ‘Raider II’ eseguita senza outro, ma è nel solo di chitarra di Steven che rimango letteralmente sbalordito vedendo come Guthrie Govan riesce a sovrapporvisi come e quando vuole con una maniacale precisione al millisecondo, dettagli che davvero non si vedono tutti i giorni, a dimostrazione del fatto che con questo chitarrista la band di Steven risulta più completa ed omogenea, dimostrando di avere davvero una marcia in più. Govan già suonava con Minnemann negli Aristocrats, e hanno trovato entrambi, secondo me, in quella di Steven Wilson una formazione che meglio mette in risalto il loro talento.
Per finire, il brano che ha dato il nome al tour oltre che all’ultimo album: ‘The Raven That Refused to Sing’, con Theo Travis che lascia momentaneamente i fiati per sedersi al mellotron nella prima parte del brano, davvero eccezionale. Siamo al culmine della serata e c’è una breve pausa, con applausi, urla e fischi ininterrotti, atti a richiamare ancora gli artisti sul palco.
Non si faranno attendere ed appena rientrati Steven chiede che brano volevamo come bis, qualcuno ha urlato “Free bird!” e la risposta è stata: “Credete che non abbia mai sentito questo scherzo prima d’ora?” (‘Free Bird’ è una canzone dei Lynyrd Skynyrd del 1973, ed è una tradizione scherzosa richiederla a gran voce come bis, a qualunque artista. Scena simile anche sul DVD Arriving Somewhere… dei Porcupine Tree ). Infine Steven dirà che eseguiranno un brano dei Porcupine Tree, ma che in sostanza è un suo brano personale dato che risale all’epoca in cui i Porcupine Tree erano composti esclusivamente da lui: l’ eccezionale, fantasiosa, surreale, fenomenale, meravigliosa, mitologica, spirituale e personalmente anche commovente, ‘Radioactive Toy’, nella sua versione più imponente, di dodici minuti, con le strepitose e onnipresenti tastiere di Adam Holzman che introducono questo brano eseguito con la passione e le emozioni che solo una formazione di artisti eccezionali come questi sanno trasmettere.
Il concerto si conclude tra i meritati appalusi, con Steven che presenta il resto della band che non ha certo bisogno di essere presentata, ma concedendo un momento di ovazioni del pubblico ai singoli artisti che ci hanno regalato davvero una serata unica.
Recensione di Evaristo Salvi